D a quando anche i preti, con il silenzio assenso della Chiesa, hanno tolto sacralità al Natale, del Natale abbiamo nostalgia. Da circa vent’anni il sacro si unisce al profano, la spiritualità al consumismo, la messa di mezzanotte ai pranzi di mezzogiorno, i regali edonistici alle beneficenze. La ritualità religiosa si fonde con la tradizione laica, di cui sono simboli, rispettivamente, il presepe e l’abete con luci colorate e doni. Il Natale è diventato l’occasione per manifestare dissensi e proteste sociali. In breve: Natale senza Natale. Quest’anno se ne fa carico don Vitaliano della Sala, noto alle cronache come il prete rosso: nella sua parrocchia di Mercogliano in provincia di Avellino ha allestito un presepe arcobaleno con due madri e senza padre. San Giuseppe è superfluo perché rappresenta il patriarcato, ultimo mantra del femminismo arrabbiato. Ecco perché abbiamo nostalgia di quel Natale cristiano scomparso tra i fumi del modernismo progressista. Ne sentiamo un dolce rimpianto. Ne avvertiamo l’assenza mentre lo sentiamo presente nella memoria. É incastonato non in un tempo lontano ma, come ci suggerisce Proust, in un tempo perduto. I ricordi scavano nel passato dove la nostalgia fermenta. Lasciamo a don Vitaliano i furori iconoclastici. Noi, vecchi nostalgici, continuiamo ad augurarci ostinatamente: «Buon Natale».

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