U n amico ultraottuagenario mi scrive: «In Italia manca il ministero della senilità. Lo ritengo necessario perché il numero delle persone vecchie è in costante aumento e nessuno si cura di loro. Se qualcuno se ne interessasse come dovere istituzionale la mia pensione non avrebbe lo stesso ammontare di quella di vent’anni fa. Con l’età alta, è vero, hai meno desideri da soddisfare, avverti una quasi sazietà di vita. Ma non hai meno spese. Ha scritto Terenzio: «senectus ipsa est morbus», la vecchiaia è essa stessa una malattia. Che va curata ogni giorno. E curarla costa: il geriatra, il fisioterapista, il badante, le protesi, gli integratori. Intanto tu, vecchio, nella sala d’attesa di un’anonima stazione ti accingi a partire. Viaggio di sola andata. Per ingannare il tempo frughi nell’archivio della memoria dove custodisci il tuo passato, tutta la tua vita. Riemergono fotografie e film, molti in bianco e nero, che ti destano nostalgia e stupore: frammenti di gioventù, del tuo paradiso perduto, della tua breve eternità. Ti avvinci ai ricordi, residui della tua forza di un tempo. La tua fragilità di oggi è un fastidio per gli altri. L’Italia non è un Paese per vecchi. Me ne sono fatto una ragione e me ne sto in quella sala d’attesa con il solo diritto al mugugno. Come un camallo che ha scaricato la vita».

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