C arneade, chi era costui?, domandò a sé stesso don Abbondio. Con questo interrogativo Manzoni condannò quell’oscuro filosofo greco a rappresentare l’immensa comunità delle persone ignote o poco note. Ci è rimbalzato in mente quando abbiamo letto nelle recenti cronache il nome di un certo Gerard Darmanin. Darmanin: chi è mai costui? Ci è stato detto, in confidenza e sottovoce, che è il ministro degli Esteri francese. Nientemeno. Come tutti i suoi colleghi di governo vive all’ombra di Macron. La repubblica semipresidenziale li oscura. Ciò però non impedisce che ogni tanto parlino. Magari a vanvera, come monsieur Darmanin, che di Giorgia Meloni ha detto: «Non è in grado di risolvere le questioni migratorie essendo a capo di un governo di estrema destra». «Offese inaccettabili», ha sibilato Tajani. Scuse francesi da tutti i livelli, tranne che da quello più alto: l’Eliseo. Il presidente Macron non ama Giorgia e, forse, nemmeno gli Italiani. I Francesi patiscono da sempre la nostra matrice culturale, che offusca la loro “grandeur”. Alphonse de Lamartine definì l’Italia «la terra dei morti» perché le nostre glorie erano antiche e stavano sottoterra. Giuseppe Giusti rispose: «Noi eravamo grandi e là non eran nati». Bollandoli infine come «barbari nervosi». Barbari non lo sono più. Ma la crisi di nervi continua.

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