N on ci sono più le elezioni di una volta. Un tempo, ci si dava appuntamento alla federazione del Pci, che aveva un apparato di raccolta dei voti più efficiente di quello del Viminale, e si conosceva in tempi brevissimi l’esito delle elezioni. L’indomani, L’Unità, il giornale fondato da Antonio Gramsci e affondato da tanti altri, titolava a tutta pagina (in rosso, in caso di vittoria dei comunisti) e nel catenaccio lanciava strali contro la lentezza del ministero dell’Interno. Adombrando anche qualche sospetto sulla diffusione pilotata dei dati. Poi sono arrivati i sondaggi e gli exit poll, che, maledizione, sono diventati via via più affidabili. In pratica le maratone televisive servono solo a confermare ciò che le previsioni avevano detto. Ma il top lo ha raggiunto il sindaco di Quartu, Graziano Milia, che ad agosto mi aveva inviato, in una busta chiusa, i nomi dei nuovi parlamentari sardi. Non posso mostrarvela ma fidatevi, ha azzeccato quindici nomi su sedici, fallendo solo la previsione sull’elezione di Lina Lunesu, rimasta invece fuori. Ha persino azzeccato il ballottaggio con i resti tra Romina Mura e Francesca Ghirra. Un indovino? No, semplicemente una legge elettorale che ha sottratto al popolo il potere di eleggere i propri rappresentanti e lo ha affidato alle segreterie dei partiti.

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