Q uando scopri che in Italia su 995 contratti collettivi nazionali di lavoro depositati al Cnel solo 215 portano la firma delle federazioni di categoria affiliate a Cgil, Cisl e Uil la domanda, avrebbe detto Antonio Lubrano, sorge spontanea: ma dove viviamo? Non perché la “triplice” sindacale sia intoccabile ma perché solo da noi anche quattro amici al bar, tra un caffè e una Coca, camuffati da sigle sindacali che rappresentano solo se stessi e pochi altri, possono sottoscrivere contratti di lavoro a livello nazionale che molti definiscono “pirata”. Le scene da Far West, che in più di 40 anni la politica ha fatto finta di non vedere, sono queste: trattamenti diversi per lo stesso compito con differenze anche di 500 euro al mese, precarietà, scarsa sicurezza nei luoghi di lavoro, delegittimazione delle organizzazioni sindacali con anni di storia e iscritti. Eppure a fronte di oltre 70 contratti nel settore edile, a forte rischio di infortuni, il 50 per cento sono stati sottoscritti da organizzazioni non aderenti al Consiglio nazionale economia e lavoro. Ma è così difficile votare una legge che stabilisca i requisiti minimi che le organizzazioni dei lavoratori e delle imprese devono avere per sottoscrivere un contratto collettivo di lavoro? In un Paese normale no, ma l’Italia non sarà mai un Paese normale. Perché l’Italia è l’Italia.

© Riproduzione riservata