L ’accesa disputa sul Mes ripropone un vecchio interrogativo: è questa l’Europa che vogliamo? Questa Europa, forse troppo estesa territorialmente, ma piccola e ininfluente comprimaria sulla scena mondiale, non ci soddisfa. Si atteggia a superstato, ma le mancano i meccanismi operativi di uno stato. Al suo interno gli interessi dei singoli prevalgono sugli accordi di convivenza. Non c’è politica, solo burocrazia e tecnica. Quando la tecnica invece che utile strumento di progresso viene adoperata per soddisfare interessi la società deraglia. Altrettanto accade quando l’economia da serva della politica diventa padrona, regina, tiranna. I tecnocrati mirano alla potenza illimitata, al dominio come pensiero assoluto su politica, filosofia, religione. Questa Europa, che passa come un rullo compressore sui patrimoni dei suoi cittadini per perseguire una transizione ecologica dai connotati ideologici ci spaventa. La Ue vuole sostituirsi sempre più ai governi, calpesta le tradizioni, rinnega nel suo statuto le origini cristiane comuni ai suoi popoli. Eppure sentiamo l’esigenza di una Grande Europa. Grande per forza politica e economica. Un’Europa delle patrie, figlie della stessa matrice culturale, ognuna rispettosa delle storie e delle identità delle altre, comprensive e solidali tra loro. Oggi, alla fine del 2023, vogliamo sognare.

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