I gretini e le gretine sono venuti allo scoperto. Hanno sostituito la “g” con la “c”. Per richiamare l’attenzione generale sulle loro utopie eco-insostenibili imbrattano opere d’arte famose. Bersagliano capolavori esposti nei musei per chiedere un futuro senza petrolio. L’ultima bravata tre giorni fa: zuppa di ceci sul Seminatore di Van Gogh. In precedenza: passata di pomodoro sui Girasoli dello stesso pittore olandese e sulla Ragazza con l’orecchino di perla di Vermeer, purè di patate sui Covoni di Monet, una torta di panna contro la Gioconda e mani incollate al vetro della Primavera di Botticelli. Si qualificano come quelli di “Ultima generazione” e di “Just stop oil”. Sono milioni di ragazzi che protestano su commissione. Strumenti inconsapevoli mossi da un mondo occulto in cui si celano interessi stratosferici di grandi speculatori internazionali. Vandalizzare l’arte per farsi notare non è una novità. È lunga la serie dei personaggi folli che ci hanno provato. Il primo fu Erostrato, un pastore greco di Efeso che, per perpetuare la sua memoria, nel 356 a. C. incendiò il tempio di Artemide, una delle sette meraviglie del mondo. Ha conquistato, è vero, l’immortalità del nome, ma la Storia lo ha bollato come criminale. I nostri piccoli eco-vandali saranno ricordati invece soltanto come gretini.

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