L a fabbrica dell’opinione lavora come le acciaierie in tempo di guerra. Non si ferma mai, produce armi ideologiche incessantemente. Ogni occasione è buona per mettere sotto accusa il sistema. Il che, per certi aspetti, è condivisibile; ma a patto che si proponga un’alternativa credibile e condivisa secondo le regole della democrazia: sempre invocata, ma spesso adattata alle convenienze, ai percorsi, agli obiettivi di quella confusa rivoluzione sociale chiamata woke. La fabbrica dell’opinione tende a demolire tutto stravolgendo i canoni di vita tradizionali, spazzando via antiche certezze, comprese quelle biofisiche. I suoi manovali sono innumerevoli, li trovi ovunque, anche dove e quando meno te l’aspetti. Vi sovviene la “scemeggiata” di Gianni Infantino, presidente della Fifa, che nel discorso inaugurale dei mondiali di calcio del Qatar rivelò un suo drammatico stato d’animo? «Oggi –disse commosso- mi sento qatarino, arabo, africano, gay e migrante». E fin qui, affari suoi. Poi, per farsi convalidare la patente del politicamente corretto, saltando di pallone in frasca, così farneticò: «Gli europei dovrebbero scusarsi per quello che hanno fatto al mondo negli ultimi tremila anni». Con furore ideologico la fabbrica dell’opinione macina la storia e ne fa detriti. Stiamo vivendo giorni davvero dimenticabili.

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