I l Corriere ci informa che “Iter”, il progetto di reattore a fusione nucleare partecipato al 45% dall’Ue, sta andando malaccio e accumula diseconomie e ritardi sconsolanti. Intanto due consorzi privati, uno inglese e uno americano, sono addirittura in anticipo nelle tappe programmate verso l’energia del futuro.

Dispiace, eppure non stupisce. Come fai a chiamare Iter una cosa che deve marciare spedita? Quanti di noi non vorrebbero incassare un euro per tutte le volte che hanno letto o sentito che “va sbloccato l’iter”, “l’iter sarà lungo”, “si è inceppato l’iter”? A quanti, ridotti alla nevrastenia dall’attesa di un timbro o di una firma, è successo di impappinarsi freudianamente e chiamarlo ister?

È vero, un nome non dev’essere per forza un destino, e tuttavia avete mai sentito di un purosangue da corsa battezzato “Concessione Edilizia” o di una Ferrari modello “Rinnovo del passaporto”?

Ma a noi l’energia pulita serve troppo per rassegnarci alla potenza dei nomi, è un obiettivo che ci impongono il riscaldamento globale e il fatto che le fonti fossili sono spesso in mano a gente come Putin e i sauditi. E allora forza Iter, fondi gli atomi e brucia i ritardi. E dissolvi la sensazione che dopo tanti anni passati a sperare che l’Italia diventasse più europea, l’Europa sia diventata più italiana.

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