U n mio amico, di cui per un motivo che capirete fra poco non svelo il nome, mi ha fatto una confessione. Essendo persona proba e integerrima ha sentito il bisogno di alleggerirsi la coscienza dopo avere compiuto, in età avanzata, l’unico reato della sua vita. Questa la sua narrazione: «Un mese fa mi sono scaduti il passaporto e la carta d’identità. Quei documenti mi servono con urgenza. La parola urgenza, però, non compare nel vocabolario della burocrazia. Negli “uffici competenti” mi hanno detto che il tempo medio di attesa per ottenerli è di sette mesi. Ho protestato civilmente facendo notare che mi stavano privando di una parte rilevante della mia libertà di operare e muovermi; e che è un diritto del cittadino avere un documento quando gli occorre, non quando lo stabiliscono lo Stato, il comune e le loro burocrazie. Mi hanno dato dell’intollerante e mi hanno liquidato. Indispettito, mi sono rivolto a un poco di buono che s’aggira nel mio quartiere e gli ho esposto il caso. Pattuito il costo dell’operazione e del suo “disturbo”, gli ho dato mandato di agire. Dopo dieci giorni ero in possesso dei miei due documenti. Tanto falsi quanto perfetti. Ho sbagliato, ma in stato di necessità. Potrò mai essere assolto?». «Ego te absolvo», gli ho risposto. E, solidale con lui, gli ho impartito la mia laica benedizione.

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