N on si può essere garantisti a corrente alternata. O a partiti alternati. Lo dico ai signori della sinistra che si accaniscono contro Massimo D’Alema. Per lo più sono suoi ex compagni, con i quali ha condiviso per oltre trent’anni fasti e nefasti del Pci: da quando, giovinotto di rosse speranze, trascorreva le vacanze nel paradiso sovietico: falce, martello e pugno alzato. L’avviso di garanzia deve essere inteso per ciò che questa locuzione significa: garanzia per chi è sottoposto a un’indagine della magistratura. Non come sentenza preventiva di colpevolezza. Per ora D’Alema è da considerarsi innocente. A differenza di compagni opportunisti egli non ha mai preso le distanze dal Pci. Per Massimo il comunismo è malattia endemica, che ha curato con un potente antibiotico, nel cui bugiardino erano elencati come effetti collaterali desiderati: barche a vela, scarpe di marca, vini pregiati, lussuose masserie. Qualcuno ora, con disprezzo, lo definisce trafficante d’armi. Che avesse un debole per le armi lo si scoprì quando, da capo del governo, ordinò i bombardamenti sulla ex Jugoslavia. Il suo vice, nonché ministro della Guerra (pardon, della Difesa), era Sergio Mattarella, che oggi non farebbe male a una mosca. L’aria del Quirinale infonde saggezza e pace. Mandiamoci, fra sei anni, Massimo D’Alema. Hai visto mai?

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