U na giungla. Lo è sempre stata la legislazione sugli autovelox, un tempo strumento per la sicurezza sulle strade e poi spesso diventato una furba tassazione a vantaggio degli enti locali. Salvavita nei punti a rischio di incidenti, poi proliferati anche in luoghi che non lo sono, generano entrate extra. E pure tante.

Da luglio 2010 si attendeva una regolamentazione per questi apparati, spesso non omologati, non di rado presi in affitto da società che li installano, li tarano (o li starano, il dubbio resta) e li gestiscono. L’unico in uniforme è chi firma il verbale, ma è pura forma: non ne sa nulla.

Il fatto che la norma arrivi a undici giorni dalle elezioni Europee è meritevole di un’ulteriore foto dell’autovelox: per eccesso di velocità (si direbbe, supersonica) di questo decreto voluto dal ministro Salvini, per limitare proprio l’uso del rilevatore. E dopo quattordici anni di inutile attesa, ora andiamo ai seggi guidando con meno patemi d’animo.

Certo, l’autovelox non avrà fotografato la sedicenne che a Roma ha preso cinque in latino. La madre (dice lei, ma poi ha cambiato versione) l’avrebbe fatta scendere dall’auto sulla corsia d’emergenza del Grande raccordo anulare. La ragazzina camminava terrorizzata in galleria. Lì l’hanno trovata i vigili urbani e subito, in attesa di chiarire tutto, la denuncia alla velocità della luce. Ma quella no, l’autovelox non riesce a rilevarla.

© Riproduzione riservata