C iascuno di noi, anche il più becero, è più complesso delle posizioni che assume, degli slogan che ripete, delle fazioni in cui si identifica. Non foss’altro perché la vita costringe ognuno a trascorrere buona parte della giornata a ragionare su sé stesso e sulle proprie azioni passate e future, non foss’altro perché quando ci capita davanti un interlocutore pacato e autorevole ci sforziamo di non fare brutta figura. Noi siamo intimamente migliori e più capaci di sfumature di come ci poniamo nei bar, e spesso sui giornali e nei talk show.

È evidente in questi giorni appassionati e spaventati per via dell’attentato a Israele e della sua reazione. È tutto un “si vergogni”, tutto un fiorire di pose gladiatorie e definitive, come se dietro ogni dissenso ci fosse odore di tradimento, dietro ogni distinguo una complicità. I più ingenui di noi – e quindi forse i migliori – agli albori della Rete pensavano fosse uno strumento poderoso per acculturarci e raffinarci. Invece siamo ancora al “senza-se-e-senza-ma”, come se così fosse possibile fare politica, o ragionare. Siamo dei violini usati come tamburi. E guarda un po’, chi decapita i bambini punta a questo. Le Br d’altronde lo dicevano apertamente: noi spariamo così lo Stato getterà la sua maschera di civiltà. Non era una maschera, e la civiltà si costruisce sui se e sui ma. Anche nelle nostre piccole chiacchiere.

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