“L a morte scorreva in diretta e nessuno l’ha salvata. Hanno fatto foto e video ma non è stato mosso un dito. Forse avrebbero potuto entrare e salvarli”. C’è da interrogarsi nel profondo sulle parole urlate nel pianto della disperazione della madre di Patrizia Cormos, la ragazza di 21 anni morta nel fiume Natisone abbracciata all’amica Bianca Doros e a Cristian Casian Molnar. Mentre un vigile del fuoco provava a metterle in salvo, c’era chi filmava e fotografava la tragedia dimostrando un imbarazzante assenza di emozioni e la più totale indifferenza che per Umberto Eco è “la più grande forma di paura” ma anche la mancanza di rispetto verso se stessi e gli altri. Senza parole, da guardarsi allo specchio e vergognarsi. Il procuratore di Udine, che ha aperto l’indagine a carico di ignoti per omicidio colposo, ha detto che “esiste, in natura anche la tragica fatalità”. Ma questa è tutt’altra storia. Le indagini chiariranno se una diversa tempistica dei soccorsi avrebbe evitato la tragedia oppure se il destino, per chi ci crede, si è incarnato negli ignoti. L’urlo della mamma di Patrizia racconta la società di oggi che si specchia nei social in maniera ossessiva, con modi poco leciti e meno che mai giusti. Non servono altre leggi: bastano quelle penali. E il ricorso frequente alla coscienza, che non è un accessorio e non accetta smentite.

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