D i Maio, in arte Gigetto, s’è dato alla latitanza. È introvabile. Scomparso come un ectoplasma dopo una seduta spiritica. Dissolto. Accusato di abbandono del suo strapagato posto di non lavoro, pende sul suo capo un immaginario mandato di cattura internazionale. Nominato per alti meriti di incompetenza rappresentante dell’Unione europea per il Golfo Persico, proprio ora, nel momento in cui c’è maggior bisogno della sua misteriosa arte diplomatica, è sparito tra le dune d’Arabia. Lo hanno cercato sulle coste yemenite del Mar Rosso convinti che stesse trattando la resa dei guerriglieri Huthi, che assaltano le navi in transito per Suez. Nessuno l’ha visto. Allora hanno provato a scovarlo sugli spalti dello stadio di Riad dove il suo Napoli ha giocato la finale della supercoppa italiana. Tentativo fallito: non si è lasciato attrarre nemmeno dalla nostalgia dei suoi trascorsi di abile venditore di bibite e popcorn al San Paolo. Forse, e qui gli diamo ragione, non vuole avere più niente a che fare con i sauditi, che pagano con milioni di dollari i nostri spettacoli calcistici; ma in cambio, con la protervia di neoricchi arroganti, ci trattano come impresari di compagnie d’avanspettacolo che portano sul palcoscenico calciatori-soubrette. E mentre noi piangiamo la morte del nostro grande Campione, fischiano. Come i beduini del deserto.

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