L a Sanità pubblica non c’è più. Con tutte le sue pecche ma anche con tutti i suoi pregi si sforzava di garantire il diritto alla salute di tutti: articolo 32 della Costituzione. Anche il paesello più sperduto aveva il suo medico; oggi migliaia di sardi lo cercano ma non lo trovano, solo chi ha possibilità paga e ottiene. I medici dal pubblico scappano, sposano il privato o vanno all’estero. Chi resta protesta e sciopera. Le cause sono diverse: stipendi inadeguati di sicuro ma anche tanta mortificazione professionale e una burocrazia demenziale. La Regione, che impegna più della metà del proprio bilancio nella Sanità si interroga, promette e sposta le responsabilità, da Esculapio ad oggi. La riforma di Pigliaru del 2014 viene smontata da Solinas nel 2020: zoppicava la prima, fa acqua la seconda. È tempo che la Regione Sardegna recuperi non più a parole ma con la forza dei fatti il valore dell’Autonomia e intanto restituisca il camice bianco ai pensionati che chiedono di riprendere l’attività. Pretenda l’abolizione del numero chiuso a Medicina che ingrassa i privilegiati e mortifica i cittadini in attesa di un Paese dove la salute e le cure gratuite agli indigenti non sono un regalo ma un diritto. La salute non è giocare con Amadeus ad “Affari vostri” e sperare nel pacco vincente ma qualcosa di tremendamente serio che non comprende i pacchisti di professione.

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