L o Stato (assieme alla storica inerzia della Regione) crea i problemi, l’Inps li denuncia. E un ruolo spetta anche a noi: pagare e aspettare. Facile la vita, quando si sbaglia ma c’è un’intera macchina statale che scarica sugli altri il conto da saldare.

Il Governo “ragiona” (senza ironia, anzi sì) sulla penalizzazione per chi va in pensione prima di compiere 67 anni. Anche se, magari, ha iniziato a lavorare assai presto e gradirebbe di non essere tra i “produttivi” per mezzo secolo di vita. Il retributivo diventa contributivo, i tetti dell’assegno crollano prima dei 67 anni, però i contributi sono stati pagati ogni mese che l’Inps ha mandato in terra.

Per Quota 103, Roma ci fa sentire in colpa: da noi l’Inps spende per le pensioni più di quanto incassa in contributi dei lavoratori. Dunque, l’acqua calda esiste e l’Istituto di previdenza la scopre: se Stato (e Regione) non creano occasioni di lavoro, è ovvio che restino nell’Isola solo gli anziani, i quali (ulteriore scoperta termica sui liquidi) sono pensionati. E finché i nostri giovani saranno costretti a emigrare in altre regioni o in altri Stati, verseranno contributi sardi ma non ufficialmente, così diminuendo fintamente il contributo isolano all’Inps. Poi l’Istituto ci tira le orecchie, e a noi fa tirare la cinghia. Meglio mettere qualcosa da parte, se si può, nella speranza di vincere la gara di resistenza. Si chiama “pensionamento”.

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