G li stracci volano, mettono a nudo la Rai e stracciano il pubblico servizio. Ergo: la Rai non c’è più. L’azienda di viale Mazzini prenda atto della realtà, scenda dal cavallo di Francesco Messina e metta piede nel selciato di viale Mazzini per confrontarsi nel libero mercato con le altre emittenti commerciali. La buriana sollevata per l’apertura di un Telegiornale con il festival delle città identitarie anziché con il risultato delle elezioni francesi nasce da una scelta editoriale politicamente colorata, facile da capire anche da Kunt, il marziano sbarcato a villa Borghese e portato a spasso da Ennio Flaiano. Di scelte discutibile la Rai ne ha fatto millanta che tutta notte canta ma questa della sagra italiana che si sbafa la baguette è difficile da digerire. Una scelta sbagliata ma è una scelta che, se presa da Mediaset o La 7 rientra nella strategia aziendale, anche se riesce difficile immaginare Enrico Mentana aprire con la sagra della porchetta di Ariccia. La Rai è diversa, è la tivù di tutti gli italiani che pagano per un servizio pubblico finito col maestro Manzi; da troppo tempo è nelle mani della politica che a turno, dopo la vittoria, sale sul cavallo in bronzo di viale Mazzini. Il servizio è pubblico quando non trasforma i fischi in applausi, se abusa della par condicio, quando è amica della verità e non dell’onorevole amico.

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