N ei giorni scorsi la sostituta procuratrice Maria Paola Marrali, che col suo collega Matteo Gobbi ha fatto arrestare un attempato sanremese per l’uccisione nel 1995 in Svezia della 21enne Sargonia Dankha, ha parlato di “femminicidio ante litteram”. E subito si è inarcato qualche sopracciglio: ma che significa? Il fatto che un uomo ammazzi una donna non è una novità come i monopattini elettrici o gli influencer, è una prassi lugubre che arriva dalla preistoria.

Vero, eppure ha ragione Marrali. L’espressione ante litteram nasce per le incisioni, si diceva di una lastra completa ma ancora priva della littera, la didascalia col nome dell’autore. È vero che da sempre ci sono uomini che ammazzano le donne che si ribellano o che li lasciano. Ma noi quella didascalia, che riassume l’uccisione di una donna e la sua causa, la usiamo da pochissimo. Fino a cinque minuti fa molto giornalismo adoperava formule tipo “l’ha uccisa per troppo amore”. E davanti alla nuova definizione c’era chi polemizzava: “Quindi ora se ammazzano un bidello parleremo di bidellicidio?”.

Dargli un nome è il primo passo per affrontare un problema. Ma attenti: nulla di più che un passo. Dall’unità d’Italia a oggi i delitti sono in calo, soprattutto i più feroci. L’unico stabile, che insanguina le nostre case oggi come ieri, guarda un po’, è proprio quello che abbiamo appena capito come chiamare.

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