D alla mattina presto fino a notte, ieri un sardo su due era piuttosto agitato (l’altro del voto se ne infischiava alla grande, se l’astensionismo significa qualcosa). Si dirà che è il costo nervoso della democrazia ed è meglio una giornata sull’altalena emotiva che la plumbea serenità delle elezioni precompilate di Putin: verissimo, ma in ogni caso lo sgocciolio esasperante dei dati e la loro contraddittorietà ha fatto vivere maluccio chi crede nella politica, per chiunque voti. Per questo è stata sbalorditiva la novità dei politici affetti da declaratio praecox, pronti a cantare vittoria o perfino sconfitta pur di cantare per primi. Non pochi di noi sono cresciuti nel mito della Prima Repubblica, con i funzionari e il notabilato di partito che erano capaci di proiettare i risultati con una precisione da Guglielmo Tell ma finché non c’era ciccia stavano zitti. Perciò più d’uno, a sentire dirigenti politici che a metà mattina si compiacevano o si dispiacevano, o addirittura prima si dispiacevano e poi si compiacevano, li ha presi sul serio e ha appaltato loro la qualità del proprio umore.

Il rispetto del violatissimo silenzio pre-elettorale sarebbe un omaggio alle regole democratiche. Quello del silenzio post elettorale, almeno finché non c’è roba sensata da dire, sarebbe un piccolo, significativo dato di professionalità.

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