M a Giuseppe Conte, che si straccia le vesti per la «figuraccia planetaria» dello scherzo telefonico del finto presidente dell’Unione Africana a Giorgia Meloni, ce lo ricordiamo bene da premier? Ci ricordiamo di quando fu contattato da rappresentanti della Cina, cioè di una potenza che quando va molto bene è competitrice rispetto all’Occidente, quando va normalmente è un’avversaria sempre più vicina a diventare una nemica?

Che poi sarebbe la stessa Cina che Reporter Senza Frontiere colloca fra i dieci Paesi al mondo con minor libertà di stampa, la Cina dove essere un uiguro è peggio che essere un criminale, che considera la repressione dei diritti civili come uno strumento di governo e la esercita con una raffinatezza tecnologica senza paragoni nello spazio e nel tempo. Ecco, quella Cina lì propose a Conte di stipulare un memorandum – cioè un fidanzamento, anticamera di un matrimonio irreversibile – per l’ingresso dell’Italia nella Via della Seta. La proposta insomma era di diventare commercialmente sudditi di una superdittatura turbocapitalista in economia e maoista in politica, e diventare degli appestati agli occhi della Nato e dell’Ue. Non volendo passare per peracottaro, Conte pretese di appurare l’identità dei suoi interlocutori. Accertato che era tutto vero, firmò.

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