Nella notte in cui il confine tra i vivi e i defunti è sottile come un soffio di vento, la Sardegna si ferma per ascoltare le voci dell’aldilà.

È Sa notti ’e is animas, la notte delle anime, un rito antico che attraversa i secoli e le generazioni, e unisce memoria, devozione e comunità.

Prima che Halloween varcasse i confini del mondo anglosassone, nell’Isola si accendevano già le zucche — concas de mortu — per illuminare il cammino degli spiriti che tornavano a visitare i propri cari.

Dal tramonto del primo novembre fino alla mezza giornata del 2, le case sarde si aprono a una ritualità intima e collettiva: è il tempo di Su Prugadoriu, parola che in sardo significa “purificazione”. Secondo l’antica credenza, le anime dei defunti, ancora sospese tra la terra e il Paradiso, si preparano in quei giorni alla loro ascesa definitiva. E i vivi, in un gesto di pietà e di amore, diventano custodi del loro passaggio, offrendo preghiere, cibo e piccole donazioni.

A incarnare questa tradizione sono soprattutto i bambini, che percorrono le strade dei paesi bussando di porta in porta e chiedendo: “Mi donada su prugadoriu?” (mi dà il purgatorio?) e ricevono in cambio dolci, frutta secca o piccole offerte.

È un gesto che richiama il trick or treat anglosassone, ma con un significato profondamente diverso: qui non si tratta di gioco, non ci sono maschere, ma è un atto di carità verso le anime bisognose, un modo per “sfamare” i morti e tenerne viva la memoria.

Le famiglie rispondono con un augurio che è una benedizione: «A is animas dei nostusu, e bengada dividiu cun cussas animas chi non s’arregodanta» (alle anime dei nostri cari e con quelle anime che nessuno più ricorda).
Parole pronunciate con la stessa delicatezza con cui si accende una candela davanti a una fotografia sbiadita.

Nei piccoli centri dell’interno, la tradizione è ancora più corale: a Esterzili, per esempio, sul sagrato della chiesa di San Michele, gli adulti si ritrovano attorno a un grande falò. Si arrostiscono castagne, si beve vino nuovo, si prega e si suonano le campane “a morto” per tutta la notte.

È un modo per vegliare insieme, per condividere il ricordo e trasformarlo in vita. Anche i giovani chierichetti partecipano alla raccolta delle offerte per is animeddas, destinate alle messe in suffragio dei defunti, in un intreccio di fede e solidarietà che rinsalda la comunità.

Sulle tavole, non possono mancare is culurgionis, i celebri ravioli sardi dalla chiusura a spiga. In quei giorni sono più di un semplice piatto: la loro forma, che ricorda il ciclo della semina, è un simbolo del legame tra vita e morte, tra ciò che finisce e ciò che rinasce.

Nella notte delle anime, ogni casa diventa un altare. Le zucche intagliate e illuminate rappresentano la luce che guida i defunti nel loro viaggio verso l’eterno. In questa atmosfera sospesa, dove il sacro si mescola al quotidiano, la Sardegna rinnova un’antica promessa: ricordare i morti per restare vivi, custodire il passato per non smarrire il futuro.

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