Tenere il conto dei gol fatti nella sua carriera è un'impresa. E dopo aver appeso le scarpette al chiodo, non è riuscito ad abbandonare il mondo del calcio: così, oltre a versare caffè e cappuccino nel suo bar di Thiesi, Gian Mario Rassu, 46 anni, ha indossato gli abiti dell'allenatore.

E uno che ha conosciuto Berlusconi, Galliani, Andreazzoli e Spalletti, giocando in squadra con Bobo Vieri e affrontando Alex Del Piero, solo per fare qualche nome, ha certamente qualcosa da insegnare soprattutto ai giovani calciatori.

I primi calci a un pallone?

"Da bambino. Giocavo in mezzo alla strada. Le porte erano i garage. Ho imparato così, masticando asfalto. Poi a tredici anni sono entrato nelle giovanili del Thiesi e dopo in quelle del Siligo. A quindici anni l'approdo all'Olbia".

È arrivato al professionismo: di strada ne ha fatta grazie al calcio.

"È stata la mia vita. Prima da calciatore, ora da allenatore. Mi ha formato e fatto crescere. Non solo: mi ha regalato tante amicizie. E poi ho viaggiato parecchio, conoscendo molti posti. Chi gioca a pallone, o comunque chi fa sport, impara parecchio e riesce a superare con più slancio tutte le difficoltà che la vita ti presenta".

Anche lei ha dovuto superare dei momenti bui?

"Forse nel mio miglior momento mi sono infortunato seriamente. Giocavo in C1 con la Massese. Nella partita contro l'Empoli di Spalletti mi sono rotto un ginocchio. Avevo vent'anni. Era la stagione del mio possibile lancio per approdare in serie B. Invece ho perso un campionato. Mi sono ripreso e mi sono tolto parecchie soddisfazioni. Ma chissà senza quel brutto infortunio dove sarei potuto arrivare. Anche perché ancor oggi il ginocchio mi fa male".

Rassu oggi nel suo bar di Thiesi (L'Unione Sarda - Vercelli)
Rassu oggi nel suo bar di Thiesi (L'Unione Sarda - Vercelli)
Rassu oggi nel suo bar di Thiesi (L'Unione Sarda - Vercelli)

Proprio quella stagione era iniziata con qualche problema?

"Ero del Milan: io volevo andare al Cosenza in serie B. La società aveva deciso di darmi in prestito alla Massese. Io ero furente. Ho iniziato la preparazione ma sono anche scappato dal ritiro: ero deciso, avrei giocato nel Cosenza. Ma mettersi contro Galliani non era una cosa semplice. Così tornai a Massa Carrara. Ovviamente aveva vinto Galliani".

Come era Rassu con i suoi compagni?

"Un ottimo compagno. Ho sempre avuto rapporti splendidi con tutti. Certo con uno o due poteva capitare di non provare molta simpatia. Ma alla fine sono nate tante belle amicizie. Checco Milia, mio compagno, è diventato il mio miglior amico: è anche mio compare".

E con gli allenatori?

"Lo ammetto: ero una testa calda, con un carattere difficile. Con qualcuno non sono andato d'accordo. Oggi, anche perché faccio l'allenatore, molte cose non le rifarei. I tecnici vanno rispettati perché, l'ho imparato a mie spese, lavorano per il bene della squadra. Ho conosciuto allenatori davvero speciali come Guido Carboni e Aurelio Andreazzoli, quando ero alla Massese, Maurizio Viscidi, Enzo Ferrari, uno che ha allenato Zico, e Attilio Sorbi. E poi c'è il maestro: quando ero alla Primavera del Milan alla guida della prima squadra c'era Fabio Capello, il migliore nel suo campo. Il top".

Il ricordo più bello?

"Certamente il giorno della vittoria del campionato di serie D con l'Olbia. Era il 2000 e con la maglia bianca siamo approdati in serie C2".

La stagione migliore?

"Un anno che ricorderò sempre è quello a Reggio Calabria con la Reggina in serie C1. Lì ho capito davvero cosa volesse dire giocare a calcio a certi livelli. Sì prima ero nel Milan, ma nella Primavera. Con la Reggina si giocava davanti a 15-20 mila spettatori. Vedere uno stadio pieno ti dà emozioni uniche. E poi c'è una partita che mi fa venire ancora oggi i brividi soltanto nel ricordarla: Perugia-Reggina, prima contro seconda di quel campionato, davanti a 35mila tifosi. Sei nel tunnel che porta al campo e tu con la maglia numero 10 sulle spalle sbuchi nel terreno di gioco davanti a una folla immensa. In quel momento ho pensato: forse qualcosa di buono l'ho fatta. E ancora: questi istanti non lo dimenticherò mai".

Quella che cancellerebbe dal suo album?

"Nessuna. Ogni stagione mi ha dato qualcosa. I campionati, soprattutto quelli difficili e con meno soddisfazioni, ti aiutano a crescere. Auguro a tutti di fare il professionista nel calcio: è una vita che dura poco ma ti regala tantissimo. Sono anni bellissimi anche se passano troppo velocemente".

Chi sono stati gli avversari più temibili?

"Fresi e Castellini difensori della Salernitana e del Perugia. Ti marcavano ed era davvero difficile toccare palla. Ma il più forte è stato certamente Alex Del Piero. L'ho affrontato al torneo Viareggio in Milan-Padova. Io indossavo la maglia rossonera e gli ho visto fare delle cose impressionanti. Giocate assurde. Ho subito intuito che sarebbe diventato un campione. Anzi un fuoriclasse".

Chi vorrebbe sempre in squadra con lei?

"Me ne vengono in mente tanti: Cudicini, Brocchi e Cozza per citarne alcuni. Ma sono davvero parecchi i nomi che potrei elencare. Ho avuto anche la fortuna di giocare nella nazionale militare. Con me c'erano Paganin, Panucci e Dino Baggio. E poi lui, uno dei più migliori, con una forza fisica impressionante: Bobo Vieri".

Uno stadio che non dimenticherà mai?

"Dopo quello di Perugia, in occasione della partita con la Reggina davanti a 35mila spettatori, certamente quello della Lodigiani: il Flaminio. Ho disputato un gran campionato di C1".

Ha conosciuto molte persone grazie al calcio, alcune anche molto famose?

"Un nome su tutti: Silvio Berlusconi. Nel calcio, e nel suo Milan, ha messo una grande passione. Aveva un carisma incredibile. L'ho visto e incontrato diverse volte nei miei due anni nella squadra primavera del Milan. Quando arrivava, quasi sempre a bordo di un elicottero, tutti si mettevano sull'attenti. Era molto presente. E poi ricordo un altro grande presidente, Mauro Putzu dell'Olbia. Anche lui metteva tutto se stesso. I giocatori per queste persone spesso in campo riescono a dare ancora di più di quanto hanno in corpo".

Come è arrivato al Milan?

"Giocavo all'Olbia in C2 a 17 anni. Ho disputato un bel campionato. Ero praticamente della Lazio. Quell'anno, era il '92-'93, sono andato a Roma per la firma. Mi sono seduto su un divanetto davanti all'ufficio del presidente Cragnotti. È entrato solo Putzu. Dopo due ore mi è stato detto che non se ne faceva niente. Non ho mai saputo il perché. Una settimana dopo ero a Milano, questa volta nell'ufficio di Galliani e Braida. E ho firmato. Ho notato anche un volto conosciuto: ho capito che era un visionatore. Per una settimana, quando ero all'Olbia, mi ha seguito in tutto quello che facevo. Stava verificando il mio stato di vita: se ero puntuale, se uscivo la notte, se bevevo o fumavo di nascosto. Non mi ero accorto di nulla. Soltanto quando sono entrato nella sede del Milan ho capito chi fosse e cosa stava facendo a Olbia".

È riuscito ad avere una vita privata?

"Quando decidi di fare il calciatore professionista metti in conto che potresti stare spesso in giro. Chi vive con te lo dovrebbe sapere. Poi io riuscivo a ritagliarmi dei miei momenti".

Il calcio è cambiato?

"Prima il calcio era soprattutto tecnico. Poi è diventato fisico. Ora è più completo: molto tecnico, fisico e veloce. Ci sono gare quasi sempre equilibrate in ogni categoria. Spesso le persone sono preparate: allenatori che si aggiornano e studiano. Anche se chi non ha mai giocato a calcio penso abbia sempre qualcosa in meno da allenatore. A parte le eccezioni".

Lo stato di salute del calcio sardo?

"Si sta sviluppando. Finalmente si investe nei settori giovanili per colmare le distanze dalle altre regioni. Il calcio ha però un enorme problema: i genitori dei giovanissimi calciatori. Pensano di avere in casa Maradona. Molti ragazzi vengono rovinati dai loro genitori per i problemi che creano. Sei un padre o una madre? Allora fai il padre o la madre, e cerca di farlo nel migliore dei modi. Non provare a fare l'allenatore o il dirigente di una società. I bambini devono essere contenti di fare calcio e sport in generale: faranno esperienze e cresceranno. I genitori dovrebbero starne lontano: osservare senza mai intervenire. Molti ragazzi invece, per le troppe aspettative, abbandonano il mondo del calcio o lo sport. E questo è un male: il pallone e le altre discipline sportive servono a tenere i giovani lontani dalle strade sbagliate".

LA SCHEDA

Nome: Gian Mario

Cognome: Rassu

Soprannome: Nessuno

Età: 46

Luogo di nascita: Sassari

Dove ha vissuto: Sassari, Alghero, Olbia, Budoni, Nuoro, Milano, Massa Carrara, Reggio Calabria, Roma

Dove vive ora: Thiesi

Squadre in cui ha giocato: Olbia, Milan, Reggina, Lodigiani, Massese, Torres, Alghero, Nuorese, Budoni

Lavori fatti: calciatori e barista

Lavoro attuale: barista

Squadra preferita: Juventus

Calciatore preferito: Roberto Baggio
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