È raro che un film riesca a far piangere e ridere al contempo, perfino nella stessa scena.

È quello che accade più volte nella riuscita pellicola di Ferzan Ozpetek, "La dea fortuna", un viaggio accorato tra commozione e risata in una Roma vibrante e conviviale, dalle terrazze adibite a festa e dai colori sgargianti, tipici di un'estetica attenta ai dettagli e alle belle cose come quella del regista italo-turco, che torna sul grande schermo nella sua forma migliore.

Il film coinvolge lo spettatore sin dalle prime inquadrature, nelle quali, a far da protagonista, è la travolgente musica del compositore napoletano Pasquale Catalano, già in passato accanto al regista in altri lavori.

La musica rimane, per tutto il film, elemento centrale, sia attraverso i temi di Catalano, che nella canzone scritta da Fossati e cantata da voce di Mina: Luna Diamante, un capolavoro, che eleva ancor di più la già notevole scena d'un mare al tramonto, visto dalla nave dove Arturo e Alessandro, coppia fidanzata da quindici anni ma in profonda crisi, viaggiano verso il loro destino, sospeso tra una rottura e un nuovo inizio.

Arturo (Stefano Accorsi) è un traduttore, fallito professore universitario, personaggio elegante, composto, nervoso, frustrato da una relazione che non ha più dialogo e intimità e da una vita di scelte sbagliate che lo hanno portato a sentirsi un fallito.

Alessandro (Edoardo Leo) è un idraulico, virile, estroverso, simpatico e giocherellone, ma anche infantile ed egocentrico, che non sa più vedere davvero la persona che ha accanto da tanto tempo.

I due attori danno entrambi una prova di grande bravura, tratteggiando con estrema credibilità due personaggi opposti, che proprio in questa diversità cercano a fatica un equilibrio, fatto di sguardi intensi, di non detti, di liti e di pianti ma anche di risate a crepapelle, abbracci e mani congiunte.

Nella loro vita, "già inguaiata dalla nascita", piombano come un gioco della fortuna, ovvero del caso, inteso alla romana maniera, i due bambini di Annamaria, cara amica di sempre, che chiede loro il favore di poterli tenere mentre si reca in ospedale per degli accertamenti riguardo ad un misterioso male che la affligge.

Jasmine Trinca, nei panni di Annamaria, è espressiva e mordente, capace di donare dolcezza, dolore, angoscia e speranza in un solo magnetico sguardo. I bambini di 11 e 8 anni sono rispettivamente Sara Ciocca ed Edoardo Brandi, giovani attori promettenti che con l'ironia, la purezza e l'emotività tipica dei bimbi, ricordano agli adulti cosa significa ridere, amare, soffrire, sognare, sperare, in poche parole tornare a vivere nonostante tutto.

Tutti gli interpreti sono d'eccezione: citiamo Pia Lanciotti, che con uno spirito squisitamente naïve interpreta Ginevra, moglie di Filippo (Filippo Nigro), ammalato di Alzheimer, che ogni giorno si innamora di nuovo di lei, Serra Yilmaz, attrice icona di Ozpetek, sempre efficace nei suoi ruoli di carattere, Cristina Bugatty nei panni di Mina, personaggio trangender poetico ed eccletico, la talentuosa Barbara Chichiarelli, che interpreta una infermiera romanaccia che riesce a strappare grosse risate dalla prima apparizione, portando in sé la genuinità di una Roma umana e profonda e infine Barbara Alberti per la sua interpretazione di Elena, altera e terribile nonna dei bambini.

La dea fortuna è la statua del santuario dove Annamaria lavora e Sandro, suo figlio, durante un allegro picnic in campagna ne svela il segreto: "Come fai a tenere per sempre con te qualcuno a cui vuoi molto bene? Devi guardarlo fisso, prendi la sua immagine, chiudi di scatto gli occhi, li tieni ben chiusi. E lui ti scende fino al cuore e da quel momento quella persona sarà per sempre con te". È quello che vorranno infine Arturo e Alessandro?
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