Gli italiani, sardi compresi, avevano cominciato ad avvertire i primi malesseri dopo i primi due mesi di lockdown. Era la scorsa primavera e la pandemia aveva costretto milioni di persone a chiudersi in casa, fare i conti con isolamento. Così la tenuta psicologica aveva cominciato a vacillare. Il 63 per cento degli intervistati in Italia non aveva certo nascosto di sentirsi stressato, il 43 aveva dichiarato di essere preoccupato. E parecchio. I sardi? Ancora più angosciati, stando almeno alle statistiche, impauriti da un futuro che si annunciava incerto. In tanti avevano ammesso di provare insonnia, mal di testa, ansia. E sentirsi depressi. Un disturbo che si è accentuato con la crisi economica resa ancor più insopportabile con la perdita del lavoro. Aziende chiuse, dipendenti licenziati, gli stessi datori di lavoro scaraventati sul lastrico o sulla paura di non potersi risollevare.

Le indicazioni. Una nazione e un’Isola dal “morale basso”, insomma. E non è neppure finita. Non è certo finita, tanto che recentemente il segretario generale della Nazioni Unite, Antonio Guterres, ha messo l’accento sulle conseguenze psicologiche provocate dal coronavirus e sull’impellente necessità di rafforzare i centri di salute mentale. "Le organizzazioni governative e quelle della salute si sono concentrate e ci stanno informando sulla misure preventive contro il Covid, ma non si sono soffermate abbastanza sulle conseguenze psicologiche che la pandemia ha avuto e soprattutto continua ad avere. L’isolamento sociale da una parte e il peso dell’incertezza dall’altra hanno ripercussioni importanti sul nostro equilibrio psicofisico", spiega Barbara Barbieri, professoressa associata del Dipartimento di Scienze politiche e sociali dell’Università di Cagliari e ricercatrice di psicologia del lavoro. "Già diversi studi scientifici hanno messo in evidenza sintomi depressivi importanti e stress post traumatico provocati dal deterioramento delle relazioni sociali. Tutta la popolazione ne ha risentito. L’incertezza del futuro, Sulle persone che già soffrivano di disturbi psicologici il coronavirus ha acuito il disagio. "Già diversi studi hanno evidenziato sintomi depressivi e angoscia legati al perdurare della pandemia in termini di percezione, è una fonte di ansia. Essere sospesi dal lavoro, come è accaduto in modo consistente quest’anno, e non sentire la certezza di una ripresa, sono fattori di stress elevati, accentuati dal fatto che questa condizione sta durando nel tempo. Il tempo stesso rappresenta una variabile non secondaria, rischia di far perdere le speranze e per questo diventa minaccioso".

Necessità e rischi. La pandemia, insomma, oltre ai pericoli fisici scatenati dal virus, sta incrementando la precarietà, l’instabilità, portando le persone a perdere il controllo della propria vita in particolare sui soggetti più fragili. "Su chi già soffriva disturbi psicologici - avverte Barbara Barbieri - la pandemia ha acuito il disagio. Per questo è importante, come si è cercato di fare anche nelle settimane successive al primo lockdown, creare tutte le condizioni per supportare chi veramente manifestava i segni del disagio". E ha sofferto il cambiamento di stile di vita magari accentuato da “effetti collaterali” come la perdita del lavoro o la paura di perderlo, il mancato supporto delle figure parentali (si pensi all’importanza dei nonni nella cura dei figli di tante coppie giovani ma non solo). Vera, emergenza, il distanziamento forzato, anche e soprattutto per chi magari porta avanti maternità o paternità da sola o da solo.

Andrea Piras
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