"In Italia manca la consapevolezza dell'utilità e del valore della vaccinazione, specialmente per la popolazione fragile e anziana": sono le parole espresse con grande preoccupazione da Paolo Bonanni, ordinario di Igiene nel Dipartimento di Scienze della Salute dell’Università di Firenze, in apertura questa mattina dell'incontro "La Prevenzione come pilastro della sostenibilità", nel corso del quale è stato affrontato il tema dell'importanza dell’immunizzazione nei soggetti anziani e fragili.

LA COPERTURA - Secondo Bonanni in Italia la copertura vaccinale ritenuta "accettabile" per i soggetti anziani e fragili dovrebbe raggiungere, come minimo, il 75 per cento mentre, negli ultimi anni, non ha superato il 55 per cento. Ciò significa che un anziano sue due, nel nostro Paese, ha sino ad oggi scelto di non vaccinarsi. Un dato che fa ancor più riflettere se considerato in piena pandemia da Covid-19.

Per altre patologie particolarmente minacciose per la popolazione anziana, come la polmonite da pneumococco e l'herpes zoster il quadro, addirittura, peggiora: secondo gli esperti la media della copertura oscilla tra il 15 e il 20 per cento. Un quadro drammaticamente in linea con un'altra incongruenza tutta italiana: nel nostro Paese, per legge, dovrebbe essere destinato alla prevenzione il 5 per cento del Fondo Sanitario Nazionale (FSN) mentre siamo al di sotto di questo livello e, per i vaccini, la spesa arriva solo all'1 per cento.

COSA MANCA AL PAESE - Oltre alla mancanza di un'adeguata cultura della prevenzione in sanità, anche altre sono le ragioni di questa insufficiente e incompleta copertura vaccinale in Italia: le strutture sanitarie per la copertura della popolazione adulta e anziana non sono sviluppate come quelle per l'età pediatrica e mancano, in particolare, anagrafi vaccinali informatizzate e nuovi sistemi di gestione dei dati. C’è, inoltre, carenza di operatori sanitari, mancano campagne d’informazione specie per quelle patologie particolarmente gravi come le polmoniti da pneumococco e l’herpes zoster.

Preoccupa, infine, il dato secondo il quale solo il 15 per cento dei medici si vaccina ogni anno contro l’influenza.

A tutto questo, si aggiunge la disomogeneità delle modalità gestionali delle diverse regioni e una colpevole distrazione in materia di politica sanitaria che andrebbe superata con l’assunzione di iniziative capaci di alzare la risposta sanitaria in questo ambito, anche in considerazione dei grandi ritorni economici che una nuova e più incisiva politica vaccinale potrebbe produrre a beneficio della sostenibilità di un sistema sanitario sempre in equilibrio precario.

"Per gli anziani - spiega Giovanni Rezza, direttore generale Prevenzione al Ministero della Salute - è centrale il ruolo del medico di medicina generale, che deve effettuare un richiamo attivo della popolazione dei suoi assistiti. Riguardo agli altri operatori sanitari, poi, il discorso è complesso: basta osservare che solo una piccola parte di questi si vaccina contro l’influenza per capire la dimensione del problema".

"La vaccinazione degli anziani - ha proseguito Rezza - è importante per proteggere le persone fragili, che sono ad alto rischio di sviluppare gravi polmoniti da pneumococco, fastidiose nevralgie da herpes zoster, o vanno incontro a complicanze - anche gravi – dopo aver sviluppato una sindrome influenzale".

ANTIBIOTICORESISTENZA - Il ruolo centrale dei vaccini nell'immunizzazione dei soggetti fragili e anziani è poi centrale anche in materia di contrasto all’antibioticoresistenza. Questi farmaci sono considerati gli strumenti con il miglior rapporto costo-efficacia per prevenire la morbosità e la mortalità per le malattie infettive.

"Con la vaccinazione, quindi, si elimina alla radice una possibilità di resistenza - ha sottolineato Bonanni - Se i vaccini contro i batteri hanno un effetto diretto nel ridurre l’antibioticoresistenza perché ne riducono la presenza, quelli contro i virus, ad esempio dell’influenza, possono contribuirvi per via indiretta. Spesso infatti, anche per un’infezione virale come l’influenza, si prescrivono degli antibiotici per evitare la sovrainfezione batterica: questa è una prescrizione impropria, perché l’infezione è virale, e favorisce l’antibioticoresistenza. Le due cose ci dicono che avere nuovi antibiotici non è l’unico metodo per contrastare l’antibioticoresistenza, ma che anche la vaccinazione è importante".

L'incontro ha raccolto, fra gli altri, anche i contributi del presidente di Federfarma Marco Cossolo, di Graziano Onder dell’Istituto Superiore di Sanità, del Presidente della Società di Medicina Generale Claudio Cricelli, del presidente dell'Associazione di iniziativa parlamentare per la prevenzione della salute, Antonio Tomassini.

(Unioneonline/v.l.)
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