Irena Sendler nata Krzyzanowska, Jolanta, Klara Dabrowska. I nomi sono tanti, l'identità, una sola. Una delle ultime foto che la ritrae cattura il volto rugoso di una nonnina di novant'anni passati, un sorriso vivace, gli occhi luminosi. Ma chi si nasconde dietro quel volto gentile?

La sua storia si snoda nell'ora più buia dell'Europa che sta diventando lentamente dominio nazista. Irena nasce nel 1910 in Polonia, a Varsavia. Quella Polonia che sparirà dalle carte geografiche, fagocitata dalla fame insaziabile e violenta di Hitler e Stalin. Protetta dal coraggio di chi sa di fare la cosa giusta e dalla semplicità del senso del dovere, entrerà ogni giorno per mesi nel ghetto di Varsavia, recintato dai nazisti invasori e, a rischio della propria vita, salverà 2500 bambini ebrei: il doppio di quelli che l'imprenditore tedesco Oscar Schindler, celebrato dallo stupendo film di Steven Spielberg del 1993, riuscì a tirare fuori dal ghetto di Cracovia.

Figlia di un medico, a cinque anni Irena impara lo yiddish dai coetanei ebrei che il padre cura gratuitamente, la sua è una famiglia cattolica e socialista. Queste due influenze così distanti ne formano la personalità: insofferente alle ingiustizie, da giovanissima entra nelle organizzazioni che si battono, all'interno dell'Università, contro la discriminazione razziale cui sono sottoposti gli ebrei. Allo scoppio della seconda guerra mondiale ha 29 anni e lavora come assistente sociale per l'amministrazione comunale. Con l'aiuto del direttore di quel servizio (che sarà poi scoperto e deportato ad Auschwitz) si adopererà per aiutare e far scappare quante più famiglie ebree possibile. Ma la situazione, già molto difficile, sta per peggiorare in modo drastico per gli ebrei polacchi: quattrocentomila persone, infatti, provenienti da tutta la Polonia, nell'autunno del 1940 si ritroveranno rinchiuse in pochi quartieri, poco più di tre chilometri quadrati, da un recinto invalicabile: è il ghetto. Inizia così una delle pagine più buie della persecuzione nazista contro gli ebrei.

La reclusione, spacciata del regime come mezzo di controllo e di ordine, in realtà nasconde i germi della soluzione finale: uomini, donne e bambini, sono lasciati morire di fame, malattie e stenti. Solo gli uomini possono lasciare il ghetto per andare a lavorare agli ordini del Reich: escono all'alba, tornano, stremati, di notte. Presto iniziano le deportazioni e, con esse, i tentativi di insurrezione che però verranno soffocati nel sangue, fino alla completa distruzione del ghetto ed alla deportazione o uccisione di chiunque vi sia ancora all'interno. Irena, nome in codice Jolanta, ha un permesso speciale: con l'uniforme da infermiera entra ed esce dal ghetto. I tedeschi sono ossessionati dall'igiene, temono epidemie fuori controllo e le consentono di entrare "per disinfestare". Non è ebrea, ma sul petto cuce la stella di Davide, si confonde con la gente del ghetto e manda un messaggio che in molti sanno leggere: potete fidarvi. È solo un'infermiera ma organizza una rete di salvataggio: ha uomini e donne ai suoi ordini. Si entra nel ghetto, si portano all'interno cibo, medicinali, beni di prima necessità, si individuano i bambini maggiormente deperiti, si portano fuori dal ghetto. Come? Nelle ambulanze, in mezzo a morti di tifo, dentro le bare addormentati da un sonnifero, in sacchi di iuta, dentro le borse degli operai, a bordo di camionette piene di stracci, protetti da un cane che abbaia ai nazisti per coprirne il pianto. I bambini rinascono con nomi nuovi, nomi cattolici, che ne nascondano le origini. Ma la loro vera identità, i nomi dei loro genitori, i loro nomi, sono un tesoro prezioso, una caparra per il futuro. Irena li scrive in biglietti di fortuna, assieme all'indicazione della nuova destinazione dei piccoli, li chiude in barattoli di vetro insieme a qualche oggetto personale e seppellisce tutto sotto un melo, in casa di un'amica, anche lei membro della organizzazione segreta "Zhegota", nata nel 1942, che supporta gli ebrei.

Ma portare via i bambini dal ghetto è solo una parte del lavoro: Irena bussa alle porte dei conventi cattolici e di tante famiglie polacche per trovare loro una casa sicura. "Dopo la fine del conflitto - ha scritto -, ho affidato gli elenchi ad Adolf Berman, tesoriere di Zhegota che a guerra conclusa divenne presidente del Comitato ebraico di aiuto sociale. Egli, con l'aiuto degli attivisti a lui subordinati, prelevò i bambini dagli istituti polacchi gestiti da ordini cattolici o dalle famiglie private che li nascondevano. Il mio ruolo si esaurì sostanzialmente qui; non ricordo i loro nomi e loro non seppero mai il mio, dopo tutto, ciò fu indispensabile per la sicurezza di tutti. Per loro io ero solo Auntic Jolanta". Il 20 ottobre del 1943 i tedeschi la arrestano, la torturano per tre mesi, le rompono i piedi e le gambe, sperano che tradisca la resistenza. Non dirà una parola e sarà condannata a morte.

Ma questa è una storia di rinascita e lei uscirà dal carcere con il nome di Klara Dabrowska, Irena è ufficialmente morta per fucilazione, ma Jolanta ha ancora molte battaglia da combattere. I compagni di battaglia hanno corrotto un militare tedesco che all'onore ha preferito denaro sonante, a dispetto della retorica di regime. La vita continua, passerà il regime nazista e arriverà quello comunista altrettanto repressivo con i dissidenti. Irena lotta anche contro quel regime, viene ancora imprigionata e perde un bambino in carcere a causa delle torture. La sua vita continua a scorrere, come un torrente, attraversando i decenni del dopoguerra e poi la guerra fredda, sempre con l'unico rammarico confessato di non aver potuto salvare più bambini.

Irena Sendler, dal nome del primo marito (nata Krzyzanowska) nome con cui i più la conoscono, nel 1965 viene dichiarata "Giusta fra le nazioni" dallo Yad Vashem e nel 1991 riceve la cittadinanza onoraria di Israele. Nel 2003, a Varsavia, ottiene il più grande riconoscimento della Polonia: l'Ordine dell'Aquila Bianca. Nel 2007 viene proposta per il premio Nobel per la Pace, verrà insignita di molte onorificenze, su di lei si sono scritti spettacoli teatrali e film. Ed è grazie a questa notorietà inattesa che alcuni dei bambini del ghetto la riconoscono e chiedono di poterla ringraziare personalmente. Lo sguardo limpido e sorridente su quel viso segnato da 98 primavere sembra dire: che altro avrei dovuto fare? Irena Sendler è morta il 12 maggio 2008, all'età di 98 anni.
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