L'Italia interviene direttamente sul raid militare della Turchia nel nord della Siria e convoca l'ambasciatore turco.

Lo rende noto la Farnesina: "Non possiamo voltarci dall'altra parte - scrive il ministro degli Esteri Luigi Di Maio -. Non può essere militare la soluzione alla crisi siriana. Anzi la storia ci insegna che ogni risposta militare in passato ha sempre contribuito a destabilizzare ulteriormente la situazione sul terreno, aprendo spesso un vuoto colmato poi dall'insorgere di nuove organizzazioni terroristiche".

Sono oltre 180 le postazioni colpite dalle forze armate turche nelle prime 24 ore dell'operazione "Primavera di pace", l'offensiva lanciata da Ankara nella regione del Rojava, in Siria del Nord, finalizzata a prendere possesso delle aree conquistate dalle milizie curde nel corso del conflitto contro lo Stato islamico.

L'attacco, annunciato dal presidente Recep Tayyip Erdogan, viene condotto contro obiettivi in mano a "terroristi", così li definisce il ministero della Difesa turco, al momento solo con raid aerei e colpi di artiglieria, senza invasione di truppe di terra. Ma alla frontiera sarebbero pronti a entrare in azione, con decine di mezzi blindati, almeno 5mila soldati delle forze speciali d'assalto e 18mila combattenti arabi e turcomanni dell'Esercito siriano libero alleati di Ankara.

Dal canto proprio le milizie curde, che hanno definito a loro volta "terroristi" i vertici di Ankara, hanno confermato di aver respinto la prima avanzata dell'avanguardia dell'esercito turco, nella zona di Tal Abyad. Le stesse milizie del Rojava hanno denunciato che i raid turchi hanno già mietuto almeno 15 morti nelle zone di confine, la metà dei quali fra i civili.

IL "RICATTO" - L'offensiva sta destando preoccupazione a livello internazionale. Lega Araba e Unione Europea hanno chiesto alla Turchia di fermare l'escalation e anche la Russia, attraverso Vladimir Putin, ha chiesto a Erdogan di valutare bene le conseguenze dell'azione in Rojava.

E lui, soprattutto alla Ue, risponde con le minacce: se l'Unione europea "ci accuserà di occupazione" della Siria e ostacolerà "la nostra operazione militare", ha risposto il presidente turco, "apriremo le porte a 3,6 milioni di rifugiati e li manderemo da voi".

Il leader di Ankara è poi tornato ad accusare Bruxelles di non aver rispettato le "promesse", perché non ha ancora trasferito la seconda tranche di 3 miliardi di euro di aiuti per la gestione dei rifugiati siriani, prevista dall'accordo del marzo 2016, rivendicando che la Turchia avrebbe invece speso "40 miliardi di dollari". Erdogan ha anche rinnovato le critiche all'Ue per non aver accettato la Turchia come Paese membro. "Dal '63 fino a ora ci avete tenuti occupati", ha detto il presidente turco, riferendosi all'accordo di associazione che quell'anno ha stabilito le relazioni formali tra Ankara e le istituzioni europee.

IL RITIRO USA - Negli Usa, invece, accusati da più parti di aver sfruttato il supporto dell'esercito curdo per combattere il Califfato, per poi abbandonarlo al suo destino, sembra esserci un atteggiamento ambivalente, almeno nelle parole del presidente Donald Trump.

"Amo i curdi - ha detto il numero uno di Washington - anche se non hanno aiutato gli Stati Uniti nella Seconda guerra mondiale e nello sbarco in Normandia". Trump ha inoltre ricordato che Washington ha fornito loro una grande quantità di soldi, munizioni e armi, ma che ora è arrivato il momento, per gli Usa, di smettere di essere impegnati in "conflitti inutili".

Intanto, il Consiglio di Sicurezza dell'Onu si riunirà proprio per discutere di quanto sta avvenendo in Rojava, mentre il Senato americano, attraverso un'iniziativa bipartisan, mira a chiedere alla Casa Bianca di imporre sanzioni contro la Turchia, colpendo gli interessi degli alti dirigenti politici di Ankara, compreso il presidente Erdogan, congelandone i beni. Misure che dovrebbero colpire anche le nazioni straniere che vendono armi all'esercito della Mezzaluna e il settore energetico turco.

(Unioneonline/l.f.-D)

DI MAIO, "ATTACCO INACCETTABILE":

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