“Julen riposa in pace”.

Così, con un lapidario tweet nella notte, la Guardia civil spagnola ha confermato la morte del bimbo di 2 anni caduto in fondo a un pozzo artesiano (sembra scavato illegalmente) nella provincia di Malaga, lo scorso 13 gennaio, mentre stava facendo un pic-nic con la famiglia.

Vano, dunque, si è rivelato il lungo e disperato tentativo delle squadre di soccorso di arrivare in tempo per riportarlo in superficie ancora vivo.

Vigili del fuoco e mineros hanno scavato per quasi due settimane, in verticale e poi in orizzontale, di giorno e di notte, sfidando il tempo che scorreva inesorabile, tra difficoltà, imprevisti ed errori di calcolo, appesi a una speranza, flebile, sempre più flebile, di arrivare in fondo, a 100 metri, trovando il miracolo.

Il luogo degli scavi (Ansa)
Il luogo degli scavi (Ansa)
Il luogo degli scavi (Ansa)

Ma il miracolo non c’è stato. Troppo, troppo ardua la lotta per la vita nelle viscere della terra per una creaturina così piccola. Lo stesso era accaduto nel 1981, in Italia, per Alfredino Rampi.

A spezzare ulteriormente il cuore dei minatori, il ritrovamento del sacchetto di dolci che Julen aveva in mano al momento della caduta.

Il padre del bimbo, ricevendo la triste notizia, è stato colto da malore.

Lui e la moglie, pochi anni fa, avevano perso un altro figlioletto. Ora un nuovo straziante dolore con cui fare i conti.

Poi verrà il tempo delle inchieste. Delle domande e, per quel che vale, di fronte a un dramma del genere, delle risposte.

Come è potuto accadere?

(Unioneonline/l.f.)
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