Oltre 10 milioni di euro di rimborsi dal Servizio sanitario regionale percepiti illecitamente tra il 2013 ed il 2019 anche a fronte di oltre mille falsi ricoveri in terapia intensiva coronarica.

È la presunta truffa scoperta dai finanzieri del Comando provinciale di Catanzaro che, questa mattina, hanno notificato la misura del divieto per 12 mesi di esercitare attività professionali o imprenditoriali a Rosanna Frontera, di 56 anni, e Giuseppe Failla, di 65, rispettivamente legale rappresentante e direttore generale della clinica Villa Sant'Anna di Catanzaro, nota struttura sanitaria nonché centro di riferimento regionale di alta specialità per il trattamento e la cura delle malattie cardiovascolari.

I due sono indagati per truffa aggravata e continuata ai danni del servizio sanitario e frode nelle pubbliche forniture.

I finanzieri hanno anche sequestrato beni per 10,5 milioni di euro a carico della clinica, degli stessi Frontera e Failla e del direttore sanitario pro tempore Gaetano Muleo, di 75 anni, in carica dal 2010 e fino ad agosto 2019.

LE INDAGINI - L'indagine è partita ad inizio 2019 ed è stata condotta dai finanzieri del Nucleo di polizia economico-finanziaria con il coordinamento del procuratore aggiunto Giancarlo Novelli e dei pm Vito Valerio e Chiara Bonfadini e la direzione del procuratore Nicola Gratteri.

Secondo le indagini, la truffa ruotava attorno al reparto di unità terapia intensiva coronarica (Utic), ufficialmente operante nella clinica ma che in realtà, secondo l'accusa, non è mai entrato in funzione. Sin dal 2013, infatti, la casa di cura era accreditata con il Servizio sanitario alla gestione di posti-letto destinati al trattamento delle patologie cardiache acute. Dalle indagini, secondo la Procura, è emerso "inequivocabilmente", invece, che il reparto non era mai stato concretamente avviato, risultando privo di attrezzature conformi agli standard e del personale medico e paramedico adeguatamente preparato e in numero idoneo a garantire turnazione e assistenza "h24".

I pazienti cardiologici acuti venivano assistiti nei reparti di cardiologia o di unità terapia intensiva post-operatoria, mentre i posti letto ufficialmente destinati al reparto Utic ospitavano ricoveri ordinari.

Grazie a questo sistema, secondo l'accusa, la casa di cura sarebbe riuscita a ottenere tra il 2013 e il 2019 dal Servizio sanitario regionale un illecito profitto di 10,5 milioni di euro.

Nei confronti degli indagati viene ipotizzato anche il reato di violenza o minaccia: avrebbero minacciato alcuni medici per conseguenze sul piano lavorativo e personale nel caso in cui non avessero ritrattato o quantomeno rimodulato le dichiarazioni rilasciate ai finanzieri sul mancato funzionamento del reparto Utic.

(Unioneonline/v.l.)
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