Una relazione che va rabbrividire, quella della Commissione ispettiva regionale sul Citrobacter, il terribile batterio che si era annidato in un rubinetto dell'acqua utilizzata dal personale della Terapia intensiva neonatale dell'Ospedale della Donna e del Bambino di Borgo Trento a Verona. Un batterio che dal 2018 ha causato la morte di quattro bambini e danni cerebrali permanenti ad almeno altri nove.

Dal 2015 al luglio scorso sono rimasti coinvolti almeno cento soggetti, di cui nove da gennaio 2015 a marzo 2017 e 91 da aprile 2017 a luglio 2020.

Dei 100 casi, 49 erano ricoverati in Terapia intensiva neonatale e 18 in Terapia neonatale pediatrica. La maggiore frequenza dei soggetti positivi è a partire dal 2018, anno in cui vi è il primo caso di infezione invasiva certa.

Il batterio ha contaminato interi ambienti, tanto che dall'inizio della ricerca sistematica del patogeno avvenuta nel periodo gennaio-maggio 2020 - si legge nella relazione - il tasso di positività è di 33,6 positivi ogni cento ricoveri. Dato probabilmente sottostimato, "se si considera che la sorveglianza è stata ridotta dalla nona alla 19esima settimana del 2020".

Sono risultati positivi al patogeno filtri rompigetto dei rubinetti d'acqua e biberon.

La commissione evidenzia anche alcune negligenze all'interno della struttura. Comportamenti "non adeguati ai protocolli anti infezione, com l'uso di cellulare da parte del genitore, prodotti senza data di apertura e senza tappo, porta aperta, mancanza dell'igiene delle mani, mancanza di foglio accessi nelle zone gialle e rosse".

Ancora: "Il primo caso di positività segnalato risale al 10 gennaio di quest'anno, e nessuna comunicazione è stata inviata ad AziendaZero", l'organismo della Regione Veneto che coordina la sanità regionale.

Inoltre, dopo le prime notizie di stampa del novembre 2019 sulla morte della piccola Nina "nessuna segnalazione su eventi epidemici è stata inoltrata". "Solo in data 22 giugno 2020 - scrivono gli esperti - AziendaZero è stata portata formalmente a conoscenza di cinque casi di contagio".

In soldoni, "il reparto di terapia intensiva e neonatale si è trovato di fronte a una contaminazione a partenza ambientale, che ha portato a una diffusione del patogeno con comparsa di infezioni invasive". C'è stata una "iniziale sottostima" e un "riconoscimento tardivo del problema con conseguente scarso coinvolgimento del Comitato Infezioni Ospedaliere almeno fino al primo trimestre del 2020".

ZAIA - "Siamo davanti a un'infezione ospedaliera con uno dei batteri più terribili, può accadere che negli ospedali ci siano infezioni temporanee, circoscritte, che si vanno a spegnere. Ma questa è una storia che si è trascinata per mesi, se non per anni", sottolinea il governatore veneto Luca Zaia.

Ospedale sotto accusa? "Non spetta a noi giudicare, la Procura faccia prima che può, penso che la relazione sia assolutamente chiara e lapidaria. Attendiamo la controdeduzione dell'Azienda ospedaliera, perché siamo in uno stato di diritto, dopodiché assumeremo tutte le decisioni che ci competono e che saranno necessarie".

LA MAMMA - Intanto prosegue a oltranza la protesta davanti all'ospedale di Francesca Frezza, la mamma di una delle bambine morte lo scorso anno a causa del citrobacter. Era sta la prima a denunciare i casi di infezione in quello che è il più importante punto nascite del Veneto, dove avvengono oltre 3mila parti all'anno, chiuso a giugno per la sanificazione degli spazi e riaperto ieri. "Mi chiedo perché si sono attesi due anni per chiudere, si sarebbero evitate molte morti e oggi mia figlia sarebbe qui con me"

"Il rapporto - continua la donna - ha stabilito che ci sono state gravi carenze igienico-sanitarie, ma anche dei ritardi e un silenzio inaccettabili. Io e altri genitori colpiti da questa tragedia che era evitabile aspettiamo che la giustizia faccia il suo corso e siamo fiduciosi nella magistratura, ma attendiamo che i vertici dell'Azienda ospedaliera e del reparto si dimettano".

(Unioneonline/L)
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