In una storia in cui a farla da padrona è l'omertà spicca il comportamento di una ragazzina, fidanzata di uno dei fermati, che con la sua deposizione è diventata supertestimone dell'inchiesta.

Parliamo del caso di Andrea Stano, il 66enne con problemi psichici di Manduria morto nei giorni scorsi in seguite alle ripetute sevizie e botte ricevute da "piccoli criminali ben organizzati", come li hanno definiti il procuratore di Taranto Carlo Maria Capristo e la procuratrice dei minori Pina Montanaro.

Otto i giovanissimi fermati con le accuse di tortura, danneggiamento, violazione di domicilio e sequesto di persona aggravato: sei minorenni e due ragazzi di 19 e 23 anni.

Torniamo alla ragazzina: lei ha riconosciuto gli aggressori, identificando anche il fidanzato, ha raccontato di alcuni adulti (lo zio di un fermato sarebbe tra loro) che stavano cercando di inquinare le indagini. Ha mostrato e consegnato due filmati agli agenti (glieli aveva inviati un amico che non è tra gli indagati), raccontato quel che sapeva sul quel giro di video su Whatsapp.

Lo avrà fatto perché sapeva che prima o poi gli inquirenti sarebbero arrivati ai file che ha ricevuto sul suo cellulare? Può darsi, ciò non toglie che è stata l'unica a fare dei passi decisi in direzione della verità e della giustizia.

Non li hanno fatti tanti ragazzi che pure quei video li hanno visti, e che quando hanno saputo che l'uomo era in coma hanno iniziato a chattare freneticamente per dire di non inviare più a nessuno i filmati e di cancellarli. Non li hanno fatti diversi adulti: i vicini di casa di Stano, lo zio di uno dei responsabili che intimava agli altri di non fare il nome del nipote, alcuni genitori che sapevano, gli stessi servizi sociali che - allertati da un'insegnante a cui un ragazzino aveva fatto vedere un video - non si sono preoccupati della vittima, solo del ragazzino.

Antonio Stano era invisibile per tutti. Lo vedevano solo loro, i bulli. Terrorizzarlo per loro era il "passatempo preferito".

L'uomo - si legge nel provvedimento di fermo - veniva sottoposto a un trattamento "inumano e degradante per la dignità della persona: percorre, aggressioni con mazze e bastoni, lesioni, sputi, derisione, offese, bestemmie, incursioni, danneggiamenti, razzie, tutto ripreso tra le grida di scherno".

E il branco sapeva della "debolezza" e dei "problemi psichici" dell'uomo, "noti a tutto il paese".

Il Corriere riporta un episodio non particolarmente cruento ma molto crudele. Durante un raid un giovane del gruppo si avvicina ad Antonio e gli dice: "Facciamo pace?". Antonio gli tende la mano, in cambio riceve uno schiaffone.

(Unioneonline/L)

UN RAID - IL VIDEO

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