"Faccio quest’ultimo tentativo prima di abbandonare la mia ricerca, perché non posso rassegnarmi”. Esordisce così, al telefono di unionesarda.it, Elisabetta Mei, 50 anni e una famiglia, quella attuale, serena e felice con marito e due meravigliose figlie. Ma un passato che come un tarlo scava scava e scava il suo cuore.

Pensa che l'Unione Sarda possa darle una mano a trovare il padre biologico mai conosciuto, “per poterlo guardare in faccia almeno una volta". L’ha aspettato per tutta la vita: "Da bambina mi dicevo ‘prima o poi verrà a prendermi, vorrà conoscermi’, ma ho atteso invano quel momento e quella gioia”.

LA STORIA – “Mia madre si chiama Anna (omettiamo il cognome, anche se Elisabetta vuole mettere tutto in chiaro per favorire la sua ricerca, ndr). Oggi ha 77 anni. Quando ne aveva 17 è entrata in convento, a Cagliari, suora di clausura. Dopo 7 anni di segregazione, vuole lasciare. Poteva farlo perché non aveva ancora preso i voti, ma c’erano molte resistenze. Un giorno prepara una lettera per mia nonna in cui le chiede di venire a prenderla, ma la lettera viene intercettata dalla Madre superiora che la strappa e lei deve stare lì. Fa un secondo tentativo, tramite una ragazza che scaricava al convento frutta e verdura, e stavolta riesce ad andarsene”.

La mamma di Elisabetta con l'abito da suora
La mamma di Elisabetta con l'abito da suora
La mamma di Elisabetta con l'abito da suora

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Come molti sardi negli anni Sessanta, anche Anna lascia la Sardegna per cercare lavoro. Sbarca a Milano, in una casa vicino al Duomo, a curare i bambini di una coppia. Ci resta due anni. E qui entra in gioco il papà di Elisabetta.

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LA GRAVIDANZA - “Mia madre conosce uno che vende biancheria. È un sardo, si piacciono e cominciano a frequentarsi. In una mansarda consumano il loro amore. O quello che lei credeva tale. Scopre di essere incinta e glielo comunica, ma lui non ne vuole sapere: "Abortisci". A lei crolla il mondo addosso, tenta di capire perché si comporti così. Un giorno lo segue di nascosto e si rende conto che lui ha un’altra. Si sente ferita, confusa. Torna a casa e rivela la gravidanza alla signora del Duomo che le consiglia di tornare in Sardegna, far nascere il bambino e se poi avesse avuto ancora bisogno di lavorare sarebbe potuta tornare da lei. Mia madre non ha scelta, è al secondo mese di gravidanza, parte e si presenta in famiglia. In un paese dove tutti parlano, è un disonore accogliere una figlia con in grembo una creatura senza padre. Così cercano uno che sia disposto a sposarla”.

Anna
Anna
Anna

IL MATRIMONIO RIPARATORE - “In paese c’era uno che suonava la chitarra, Angelo Mei, gli hanno fatto la proposta, gli hanno promesso una vigna e la casa, e l’ha sposata. Sono nata io e mi ha dato il suo cognome, ma solo da pochi anni ha cominciato a trattarmi come una figlia. Sono stata la pecora nera della famiglia per lui, ma anche per lei, che forse vedeva in me il frutto di un amore deluso, di un peccato e di una colpa. Vivevamo a Is scarteddus, a San Giovanni Suergiu. Lui la trattava male, beveva, le ha fatto fare sette figli. Lei si è dovuta rimboccare le maniche per guadagnare qualcosa, comprare da mangiare e almeno le scarpe per noi... Ricamava centrini e li vendeva. Io ero schiavizzata fin da piccola, ed essendo la maggiore di otto figli non solo dovevo badare a me stessa ma anche a loro. Questo padre-padrone ci ha fatto vivere nell’inferno. Ma anche mia madre non è stata da meno. Quando avevo sette anni, un bel giorno, mentre stavo accudendo i miei fratelli, viene fuori con una foto. A malapena ricordo il soggetto, mi ha farfugliato qualcosa che non ho recepito, indaffarata come ero, ma poi ho capito che stava parlando di mio padre. Quello vero. Non ho fatto in tempo a realizzare, che mi ha strappato la foto sotto al naso. Ora ne ho un ricordo vago, un ricordo ingiallito e sbiadito che mi segue da una vita e di mio padre non ho nient’altro che questo".

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La ferita è ancora aperta. Quel che sarebbe stata l'unica testimonianza dell’esistenza di suo padre non c’è più. Non sa nulla dell’uomo che l’ha concepita, solo il nome che la mamma le ha rivelato: Luigi Taccori. Null'altro. Sarà per tutto questo che ha covato un forte risentimento. Ha conosciuto il ragazzo che poi è diventato suo marito, e appena compiuti i 19 anni si è staccata da quelle sofferenze e si è stabilita in Piemonte. "Mia madre ha sempre detestato anche lui”. Poco per volta, anche gli altri fratelli si sono trasferiti al nord, vivono in Valle d’Aosta dove li ha raggiunti anche la madre, che nel 1990 ha divorziato dal marito-padrone.

Elisabetta Mei da ragazza (foto concessa)
Elisabetta Mei da ragazza (foto concessa)
Elisabetta Mei da ragazza (foto concessa)

LA RICERCA - "Sia chiaro che se cerco mio padre non è per fini economici. Non mi interessa l’eredità quale che sia. Mi interessa solo incontrarlo, guardarlo in faccia, vedere se le mie mani – che sono diverse da quelle di mia madre e di tutti i miei fratelli – sono come le sue. Incontrare i suoi occhi e sentire quell’affetto paterno che mi è sempre mancato e che adesso, anche se avanti con gli anni, potrebbe compensare l’amore materno che non ho mai sentito. Ho odiato mia madre per tanto tempo. A un certo punto ci siamo riavvicinate: d’estate andavo in Sardegna per le vacanze ma puntualmente me le rovinava. Non è stato un bel vivere. Poi per sette anni silenzio, non ci siamo sentite per nessuna ragione. Fino al febbraio scorso, quando purtroppo uno dei miei fratelli è morto e ci siamo rincontrate. Io ci ho provato di nuovo a farmi dare qualche indizio di questo mio padre sconosciuto, ma lei glissa sempre. Dice che non se lo ricorda, e che non è il caso che mi metta a cercarlo proprio ora… Solo zio Giulio, un suo fratello, mi ha dato qualche informazione sommaria che ora utilizzo per la mia ricerca, sperando che tramite il vostro giornale qualcuno possa riconoscere la mia storia e aiutarmi".

IL NONNO RABDOMANTE - "Zio Giulio mi ha detto che era delle parti di Gesico, Suelli, Ortacesus. Il padre di Luigi Taccori, il mio vero nonno 'tziu Taccori', faceva un mestiere particolare per cui non dovrebbe essere difficile individuarlo: era un rabdomante e 'fiada sa mexina', ‘faceva la medicina’. Altro non so. Spero che qualcuno possa aiutarmi. Io e mio marito abbiamo comprato un camper per poterci muovere in lungo e in largo tra i paesini della Sardegna il prossimo Natale. Trovare mio padre sarebbe il più bel dono per me".

a.p.

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Chi volesse aiutare Elisabetta può farlo tramite la nostra pagina Facebook, anche con messaggi privati, e con Whatsapp al 335.1546482. Saranno girati all’interessata. Indicare "Elisabetta".
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