C i saranno sempre più crolli, è banale prevederlo, e pietre e massi prenderanno possesso delle nostre cunette, e intonaci cadranno, attratti nuovamente dalla gravità e dall'entropia che ormai non combattiamo più, nel degrado crescente. E non solo per colpa del riscaldamento globale, ma perché siamo diventati incapaci di pianificare e gestire, e dunque di migliorare la nostra produttività anche nelle cose minute, quotidiane. Il nostro paese, qualunque sia, l'Italia, la Sardegna o appena Nuoro, è drammaticamente fermo da oltre vent'anni.

Fare manutenzione preventiva, sistematica e migliorativa, l'unico modo per salvaguardare un sistema d'infrastrutture vitali (e non parlo solo di quelle stradali e ferroviarie, ma anche amministrative, formative, della salute e della sicurezza, digitali, ecc.) richiede, infatti, una volontà senza tentennamenti e pause, e una visione di lungo orizzonte. Si lavora per il futuro, non solo per rappezzare quello che è già crollato.

Noi, invece, siamo quelli del ponte di Oloè, chiuso da sette anni, che è sbagliato considerare un'eccezione - è la nostra condizione abituale, rendiamoci conto. Siamo i figli di una povertà cui non siamo più preparati, e che si vuole nascondere. Siamo i forzati a liste di attesa di semestri, a pensioni minime, a case di riposo fatiscenti, a cibi tossici da discount. Siamo i destinatari di storielle che potrebbero sembrare esilaranti se non fossero tragiche: che la crisi finanziaria sia esplosa nel 2010 per colpa della Grecia (non ci fossero stati i greci, malandrini, l'Europa sarebbe un giardino del bene!). Che sia perseguibile una decrescita felice, che non trova riscontro in nessuna teoria economica ma che risponde bene al disegno di mantenerci stolidi e abulici. Che le madri possano smettere di lavorare "per dedicarsi ai propri figli" (come da recente trasmissione di Radio2). Che il lavoro sia una condanna e i padri, con pochi giorni di ponte, possano inanellare un mese di vacanze - ma dove, nel mondo, capita questo? Che la scuola debba essere facile, ridotta a livelli di bietolaggine e di superficialità sanremese. Che le riforme (necessarie: l'Europa le vuole!), arriveranno presto - e si tace che queste consisteranno in tagli di servizi, pensioni e stipendi, un film già visto. Che il nostro debito pubblico, di conseguenza, inizierà a diminuire e si libereranno centinaia di miliardi per le fasce deboli, per il sud, i giovani e gli immigrati non più schiavizzati (per inciso, perché il nostro debito continua ad aumentare? Qualche economista riesce a spiegarlo?). Che la politica, infine, tornerà a essere la buona e onesta amministrazione del bene pubblico e non l'arena di tattiche di potere fini a se stesse, di spartizioni e corruzioni.

Buon anno, allora, tra parole e utopie disneyane - mentre Oloè dal 2013 rimane testardamente chiuso! Solo giorni fa ho sentito un discorso sensato e, nello stile del personaggio, ingenuo. Perché Bersani, parlo di lui, è una brava persona, e nei suoi ragionamenti si lascia spesso scappare la verità - per questo l'hanno emarginato. In una pacata intervista, ecco, Bersani ha ammesso che il vero scopo di tante meline è quello di «non far scardinare la tenuta sociale del paese». Mi pare che nessuno abbia osato esprimere questo rischio immanente: è indicativo. A fronte degli sfasci quotidiani, di una istituzione che perde pezzi e credibilità con velocità crescente (solo come esempio, ditemi, che senso ha più la Banca d'Italia?), di una politica incapace di risolvere i problemi della popolazione, e di un'industria che invia segnali positivi solo dai segmenti della criminalità organizzata (sembra che la 'ndrangheta valga ormai due punti del nostro Pil), le persone responsabili e sensibili non possono che interrogarsi sulla tenuta sociale del nostro paese. Ergo, non bisogna mai parlarne, guai, nello stesso tempo potenziando le leve per sminare questo pericolo: non con il perseguimento della crescita economico-sociale, non ne siamo più capaci, vivaddio, ma per contro con la diffusione dell'ignoranza e del fatalismo. Oloè non è un ponte, davvero, ma un termometro sotto la nostra povera ascella.

Ciriaco Offeddu

Manager e Scrittore
© Riproduzione riservata