Michael Harte quando lo verrà a sapere la prenderà molto male. Lui, esperto di alta finanza, neozelandese, aspirante filantropo, nababbo in trasferta, qualche anno fa, era il 2016, ha fatto fuoco e fiamme per conquistarsi uno strapuntino vista spiaggia rosa nell'isola di Budelli. È arrivato a dire che da lì, dal cuore dell'arcipelago di La Maddalena, avrebbe voluto cambiare il mondo. Un nuovo Creato, sosteneva a ruota libera il magnate sbarcato con tante buone intenzioni naufragate a colpi di pretese da misurare in metri cubi.

La prese molto male quando gli spiegarono che davanti alle isole di Santa Maria e Razzoli non avrebbe potuto fare quello che voleva. Nelle sue incursioni da padrone, a mezzadrìa con il tribunale di Tempio, toccava con mano i vecchi manufatti dell'isola rosa, li accarezzava quasi a volerli moltiplicare, nelle volumetrie, nelle superfici e nell'altezza. Nel contempo, senza infingimenti, traguardava idealmente quei fasci di luce che a ritmo incessante scandivano il transito navale sulle Bocche di Bonifacio. Era innamorato del faro di Razzoli. Dall'isola bramita di Budelli lo sfiorava con un soffio. L'ardito pensiero non disdegnava l' en plain con quello di Santa Maria, ad un tiro di schioppo da quella che sarebbe stata la sua vista sul paradiso.

Manìe di grandezza

Presentando le carte al ministero dell'Ambiente, alla ricerca di consensi e firme in calce, lo aveva esternato senza timidezza. Lì, in quegli affusolati fasci di luce orizzontali sul mare, sognava l'extra lusso, molte stelle, per pochi nababbi come lui. Il saio da manager ricco sfondato della Commonwealth Bank of Australia, della Citigroup e di Barclays non gli aveva fatto perdere il vizietto del denaro. Filantropo dell'ambiente per gli altri, ma per lui suite da mille e una notte davanti a quello spettacolo unico della natura. Per mister Harte buttare 3 milioni di euro e riscattare l'isola esclusiva, quella che ogni miliardario avrebbe voluto nel novero dei suoi gioielli di famiglia, sarebbe stato un gioco da ragazzi. Peccato, però, che quel lord tutto Creato e denaro non ne volesse sentire di comprare un paradiso terrestre e non poterci fare qualche villa, recuperare e raddoppiare la volumetria diroccata dal vento e dal tempo. Voleva monetizzare. Le leggi, però, avevano apposto i sigilli: tutela integrale. Anche per lui, nonostante i soldi, gli ammiccamenti e le pacche del palazzo. Al Tribunale di Tempio non si presentò. Quella cauzione da 3 milioni di euro non la pagò, né a rate né in contanti. Se ne andò offeso.

Oggi avrebbe bisogno di un pronto intervento per essere rianimato se venisse a sapere che un illustre sconosciuto, tale Francesco Orrù, classe 1968, con appena 100 euro, dicasi cento euro, controllerà il futuro del faro gioiello che costeggia Budelli, nel cuore dell'isola di Razzoli. Con l'1% della quota azionaria Orrù, infatti, è l'asso di denari che determina la maggioranza o l'ingovernabilità azionaria della società che si è aggiudicata il faro di Razzoli. L'1% decisivo nella contesa tra il primo proprietario della società Alessio Raggio, con il 49% e il nuovo socio, Francesco Del Giudice, con il 50%.

Nuovi progetti

Michael Harte, in giro per il mondo alla ricerca di emozioni forti, pronto a comprarsi l'immensa natura dell'isola della spiaggia rosa per 3 milioni di euro e farci investimenti senza limiti di spesa, ora si vede scavalcato nei sogni da un signor nessuno che con appena 100 euro diventa il dominus del faro di Razzoli, il cuore dell'isola. Le mani sui fari dell'arcipelago sono una storia sottotraccia di cui, forse, in pochi dovevano sapere. Pochissimi, visti i partecipanti. Due o tre, escludendo gli aggiudicatari. Un silenzio dirompente per tanta rara bellezza nell'oasi paradisiaca di La Maddalena. Un vortice di società, di scatole cinesi, di partecipazioni societarie da far invidia ai trust miliardari dei paradisi fiscali. Quote, maggioranze e minoranze, figli e mogli, tutti pronti ad alternarsi come un risiko in alto mare alla conquista dell'arcipelago. Le date della gara sono cartine di tornasole per il faro più ambito, quello di Razzoli, il più imponente e maestoso dei tre in gara su quel proscenio incantato ed esclusivo.

I movimenti tellurici si avvertono subito dopo la pubblicazione on line della gara per l'affidamento «in concessione di valorizzazione» dei fari nell'arcipelago di La Maddalena.

In concessione

È il 21 febbraio 2019 quando l'assessorato regionale agli Enti locali pubblica online il bando. Per il resto non c'è traccia di annunci su carta stampata, né regionale, tantomeno inserzioni su scala nazionale. In molti ignorano quella battaglia navale tra gli isolotti a due passi dalla Corsica, lembo estremo e dolcemente frastagliato dell'isola di Sardegna. Si finisce per privilegiare la strada del sottovoce per non allertare troppi concorrenti e giocare la partita tra intimi. I pochi che lo sanno, però, si danno da fare. Come in uno scacchiere, dove l'obiettivo è dare scacco matto all'isola nell'isola.

I primi segnali, stranamente, si avvertono nel sud Sardegna. È il 13 marzo del 2019, nemmeno un mese dopo l'avvio della gara per i fari. A Cagliari, davanti ad un notaio, il blitz. Una delle società da lì a poco candidata a mettere le mani sul faro di Razzoli cambia di punto in bianco la propria maggioranza.

La compagine

Alessio Raggio, cagliaritano, che gestiva il faro di Capo Spartivento a ridosso di Domusdemaria, cede il controllo del 50% della Finns alla Ensadel, società della famiglia Del Giudice, quella dell'appalto milionario della Delcomar, la compagnia di navigazione che fa da Caronte nelle isole di La Maddalena e Carloforte. Un colpo di teatro nel proscenio della gara imminente. Ma non è finita. In piena competizione, con le offerte già presentate, ma con la commissione di gara in autonomo lockdown senza motivo, avviene un nuovo assestamento societario. Il 19 settembre del 2019 Raggio recupera il 10% da una società fiorentina, a lui riconducibile, e si assesta al 49% finale. Il quadro societario che emerge dalle visure camerali è roba da lunghi coltelli. Tra i due soci, infatti, c'è l'1% di Francesco Orrù, revisore dei conti in un centro ortofrutticolo di Samassi, in una cooperativa di Vigilanza e socio unico dell'ignota società San Leone srl, dichiarata inattiva.

Che ruolo svolge questo socio dall'1% non è dato sapersi, di certo è l'ago della bilancia, colui che può determinare, con appena 100 euro la maggioranza della governance societaria oppure inchiodare, nel pareggio, l'azione dei soci. Un dominus, appunto. Tutto questo dinanzi ad un progetto di recupero che avrebbe, probabilmente, meritato meno giochi societari e più solidità finanziaria visto che stiamo parlando di uno dei patrimoni più esclusivi della regione sarda.

La società guidata dalla famiglia Del Giudice lo vuole a tutti i costi, e di fatto se lo aggiudica, per 35 anni per 150.000 euro all'anno. Si ignora il business plan ma è evidente che in una struttura così esclusiva traspare l'obiettivo di trasformarla in una macchina da soldi, eludendo di fatto le stesse indicazioni della soprintendenza e dello stesso Parco che avevano da sempre auspicato una fruizione culturale e scientifica.

L'affare

La longa manus nella gestione privata del parco dell'arcipelago è dietro l'angolo, anzi, dentro il faro dell'isola di Santa Maria. Basta guardare il progetto presentato da Sardegna Investimenti, società a totale controllo della famiglia Del Giudice, che si è aggiudicata per 35 anni e 42 mila euro all'anno quell'immobile con le radici nei graniti forgiati dalle turbolenze delle Bocche di Bonifacio.

Nel prospetto trasmesso agli uffici, si candidano a trasformare quel faro nel core business del parco stesso. Da lì ambiscono a gestire di tutto e di più. I nomi dei servizi sono altisonanti, dal presidio dell'Ente Parco al Giardino Mediterraneo, dalle camere per ospiti esclusivi al forno per il pane, da vendere alle barche in transito, dalle attività sportive legate alla nautica al bike sharing , sino al ristorante d'elite. Business nel silenzio incantato del Parco, da oasi a slot machine, con il silenzio di molti. Di sicuro non sarà passato inosservato il richiamo a quella che nel progetto sul faro di Santa Maria definiscono partnership con il ristorante La Casitta, quello del cugino del presidente del Parco, Fabrizio Fonnesu, già raggiunto da un avviso di garanzia per le autorizzazioni rilasciate per la festa da mille e una notte su una spiaggia vietata organizzata proprio dall'esclusivo resort del cugino. Tra i partner dell'operazione dichiarano nero su bianco anche la compagnia di navigazione Delcomar, quella di Del Giudice. Dopo i bagordi russi nell'arcipelago più esclusivo e protetto della Sardegna potrebbero arrivare anche i traghetti. Il conflitto d'interessi illumina il futuro dei fari e del parco, proprio davanti alla spiaggia rosa. Con buona pace di Michael Harte, che non l'ha presa bene.

Mauro Pili

(Giornalista)
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