Alla fine gli hanno chiesto i soldi. Quelli veri, non millantati nelle segrete società londinesi dislocate dentro una cassetta della posta virtuale nei quartieri finanziari della city. Le missive, una miriade, tra l'Autorità Portuale della Sardegna e la Pifim Company Ltd, la società che ambiva a mettersi in tasca il Porto Canale di Cagliari, sono un pozzo infinito di perdite di tempo e di frottole a buon mercato. Al dunque del denaro sonante, fideiussioni e garanzie, l'autodichiarato finanziere anglosardo, Davide Pinna, si è piccato come non mai.

L'offeso di Londra

Quasi offeso, come se chiedergli la Bank Comfort Letter, la certificazione bancaria di quanto dichiarava, avesse leso Sua Altezza. Del resto gli sarebbe costato poco ottenerla dalla banca sotto l'ufficio invisibile al secondo piano della Berkeley Square House di Londra. Del resto, con i 400 milioni di contanti che dichiarava di avere a disposizione, non si sa dove, sarebbe stato un gioco da ragazzi farsi garantire dalla Hsbc Holding Plc qualche milione di sterline. Del resto si trattava di garanzie obbligatorie per ottenere la concessione del Terminal Container del Mediterraneo, quello nel Golfo degli Angeli.

Scherzi a parte

Lo sapeva sin dall'inizio, l'ardito finanziere di Bolotana. Eppure, quando gli hanno chiesto un milione di garanzia fideiussoria a supporto dei traffici marittimi dichiarati, ha risposto a muso duro, come se fossimo su scherzi a parte. Non parliamone nemmeno della cauzione da dieci milioni indispensabile per la garanzia, prevista per legge, sull'osservanza degli obblighi assunti con la concessione. Mister Pifim prende carte e mail e scrive una missiva di fuoco. Siamo al primo febbraio del 2021. Tredici mesi dopo la pubblicazione, già di per sé tardiva, del bando di concessione della più importante infrastruttura portuale della Sardegna.

Scena muta

Come se le garanzie bancarie fossero un inutile orpello, la Pifim mette nero su bianco: «La scrivente società ritiene di aver già risposto ampiamente agli interrogativi pervenuti da questa Autorità, in modo esaustivo e dettagliato, rispetto la richiesta di concessione in oggetto, al fine di procedere alla pubblicazione dell'istanza». Il black out si trasforma in silenzio tombale. Il finanziere scrive, come fosse stato punto da una tarantola. «In forza di ciò la scrivente (la Pifim) non intende al momento fornire altre informazioni, documenti o ulteriori dettagli senza che prima la richiesta di concessione sia pubblicata». Un naufragio annunciato, non meno di cinque mesi fa quando, con l'inchiesta de L'Unione Sarda, prima puntata l'otto settembre del 2020, veniva alla luce un sottobosco di società tutte registrate nello stesso quartier generale virtuale della Pifim e uno scottante quadro finanziario, con attestazioni, depositate nella city societaria, che attribuivano alla holding cifre da capogiro, con una sola società che si dichiara detentrice di una cifra fuori dalla grazia di Dio, 400 milioni di sterline in contanti.

Contanti spariti

L'esame di dettaglio della reale situazione finanziaria del factotum bolotanese a Londra faceva, in realtà, emergere un quadro ben diverso. Le cifre realmente depositate in banca si restringevano a pochi zeri, facendo emergere sin dalle prime battute dell'inchiesta giornalistica un vero e proprio azzardo marittimo finanziario. Un quadro che faceva esplodere il tema della "professionalità" della società, richiesta dal bando, che non aveva al suo attivo alcuna attività in campo portuale e navale. Due giorni dopo la pubblicazione della prima parte dell'inchiesta de L'Unione Sarda, l'Autorità di Sistema Portuale del Mare di Sardegna, il nove settembre del 2020, avvia il procedimento di assegnazione della concessione ma sospende subito i termini per l'istruttoria. Qualcosa non torna. La sfilza di elementi contradditori, emersi dalle verifiche fatte dal nostro giornale, emerge qualche giorno dopo nella missiva dell'Autorità del Mare dell'undici settembre. In ballo, scrive l'istituzione statale, ci sono i requisiti di professionalità della società, idoneità del contratto di avvalimento con il porto di Amsterdam, opere previste nel progetto, strategia commerciale e piano marketing. Come dirgli, insomma, che gli mancava tutto. Nonostante il quadro fosse chiaro, il faccia a faccia si trasforma in estenuante dialogo tra sordi. Le missive si susseguono come se ci fosse una rincorsa a prendersi in giro.

La scusa del Covid

I termini per presentare ulteriori documenti diventano un "calendario islamico", giorni e mesi mai allineati, come se niente fosse. Le scuse sono sempre le stesse e la Pifim le usa ad ogni piè sospinto: «A causa del particolare momento si sono verificati dei ritardi da parte dei professionisti esterni coinvolti nella redazione della documentazione integrativa». Il gioco dell'oca sulla pelle dei lavoratori portuali e del futuro del Porto Canale va avanti sino a ieri mattina quando, alle 12.09, parte il "siluro finale" alla volta di Buckingham Palace. Richiesta di concessione della Pfim: bocciata. Rigetto ufficiale della domanda di concessione dei beni demaniali marittimi del Porto Canale di Cagliari. Elencare le ragioni del diniego sarebbe troppo lungo. E' preferibile indicare quello che andava bene: niente. Dice l'Autority: mancava la dichiarazione dei requisiti richiesti dall'avviso pubblico, mancavano le garanzie finanziarie per l'operazione, mancava il progetto preliminare delle opere da realizzare.

400 giorni di niente

Ci sono voluti 400 giorni per un nulla di fatto. Un po' troppi. In realtà, però, in questi lunghi mesi qualcosa è accaduto nel sottobosco del Porto Terminal. Pizzini, documenti riservati e persino verbali nascosti, blindati nel segreto degli affari d'alto mare, raccontano un'altra storia. E domani ve la raccontiamo.

Mauro Pili
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