Cap de Garde traguarda Capo Teulada dalla notte dei tempi. Si guardano in faccia a 228 chilometri di distanza. Come andare da Cagliari a Porto Torres. La differenza è che per raggiungere il Capo di sopra ti bastano quattro ruote sulla "Carlo Infelice", per raggiungere l'altra sponda del Mediterraneo, punta avanzata dell'Algeria verso la Sardegna, non ti bastano tutti i versetti del Corano. L'invocazione è ogni volta la stessa: Dio ti protegga dall'orrore del mare e dalla sua agitazione. Il tramonto tra il sud dell'Isola di Sardegna e quello del nord dell'Algeria è uguale. Quando ad Annaba, capo opposto del Sulcis più profondo, sono le 20.30 a Porto Pino, tra Teulada e Sant'Anna Arresi, gli ombrelloni hanno già segnato sulla sabbia illibata un'ora in avanti. Cambia il fuso orario ma la luce tenue di un tramonto in lontananza accomuna il punto di partenza e quello d'arrivo. La spiaggia di Djenen El Bey è sul versante opposto della città di Annaba, porto commerciale, terzo agglomerato della Repubblica Democratica Popolare algerina. Nascosta dalle luci della ribalta. Per arrivarci bisogna scavalcare i tornanti che si inerpicano sui rilievi alle spalle dell'agglomerato urbano. Il litorale è protetto da un'insenatura appena accennata in una costa frastagliata da rocce scure, simili a quelle cariche di piombo e ferro sulla costa di Nebida e Buggerru. All'ora dell'appuntamento la lingua di sabbia intrisa di deserto è sporca e deserta.

Bruciare le frontiere

All'orizzonte si intravvede un barchino che staziona come di vedetta. Due persone a bordo, sguardo a 360 gradi, presidiano l'arenile. Gli "harraga", così sono soprannominati i "bruciatori di frontiere", i fuggiaschi per alcuni, i sognatori per altri, si affacciano tutto d'un colpo sul proscenio dell'ennesimo viaggio della speranza. Conquistano rapidamente, a due a due, la battigia. Tra le mani i fusti azzurri carichi di carburante. Il barchino spunta all'orizzonte solo quando tutto è pronto per il carico, di carburante e di uomini.

Via sul Mare Nostrum

È pratico il comandante di questo trabiccolo in legno dipinto con la tonalità del mare scuro dell'altra sponda del Mare Nostrum. La scena è concitata, temono il calare della notte ma ancor di più che qualcuno li possa scoprire. In realtà su questo versante d'Algeria tutto scorre come se niente fosse. Salgono in sette. Salutano quando l'estremo del sole si sta assottigliando all'altezza di Carloforte. Il mare è piatto. Condizioni meteo favorevoli, motore Yamaha a manetta per conquistare il vantaggio della poca luce rimasta prima del calare delle tenebre. Il tizio con cappello rosso da rap d'Arabia, dopo averli sistemati su quell'incerto battello da miracolo di mare, li saluta e sistema nelle tasche l'ultima tranche del versamento in moneta locale. L'agenzia di viaggi clandestina ha ripreso a lavorare a pieno ritmo in Algeria. Con meno di mille euro l'imbarco è sicuro, per l'attracco in terra sarda bisogna sfidare la sorte a suon di preghiere e invocazioni divine. Le pene per il traffico clandestino d'uomini in terra d'Algeria si sono vertiginosamente fatte pesanti. Chiunque venga "beccato" a trafficare con barchini e "harraga" è destinato senza troppi complimenti ai centri di detenzione in mezzo al deserto.

Il lascia passare algerino

Questa che scorre a suon di pandemie è, però, una stagione anomala dove tutto in Algeria sembra destinato a passare in cavalleria. Il protocollo per la lotta all'immigrazione Italia - Algeria langue e il governo algerino sta a guardare. Non a caso. Dietro l'assalto all'isola di Sardegna e alla rotta con la Spagna potrebbe esserci quella che appare una strategia della tensione studiata a tavolino.

Il ricatto del mare sardo

Lo dicono sottovoce in tanti, ma da ieri un atto è depositato anche nella sede lussemburghese del Parlamento europeo. Un manipolo di eurodeputati, conservatori e progressisti, ha messo nero su bianco un'ipotesi che lascia interdetti: il governo d'Algeria sta lasciando aperto il corridoio dell'immigrazione clandestina verso la Sardegna per rivendicare la definitiva approvazione della zona economica esclusiva algerina sino alle coste sarde, passando da Carloforte sino a Bosa. Un'operazione che - secondo i parlamentari europei - sarebbe collegata ad uno scenario di destabilizzazione nei rapporti italo-algerini, con il tentativo di estendere il controllo sulle acque sarde utilizzando gli sbarchi in Sardegna come mezzo di pressione politico-istituzionale.

Uno scenario inquietante al quale se ne aggiunge uno ancor più preoccupante: l'Isis riparte dall'Algeria. La strategia della nuova Jihad punta al Grande Maghreb. Dopo la Libia e la Tunisia nelle mire dello Stato islamico è entrata a pieno titolo proprio quella che si definisce Repubblica popolare democratica algerina.

L'Isis all'orizzonte

L'obiettivo dell'Isis è chiaro: gestire i pozzi petroliferi per riattivare il contrabbando di greggio funzionale a riaffermare la propria leadership nel mondo islamico. In Algeria, dunque, non esiste solo un problema di immigrazione clandestina. L'emergenza sanitaria ha imposto il coprifuoco dalla sera alle 20 alle 5 del mattino e la chiusura di tutte le frontiere verso altri paesi. Possono partire solo gli "harraga", verso la Sardegna. Ora il rischio è, però, che in terra sarda arrivino non solo nuovi immigrati clandestini in cerca di "cieli più clementi" ma anche efferati "foreign fighter", terroristi di sponda, che, dopo essere ritornati in Algeria dalla Siria e dall'Iraq, tentino nuove incursioni europee attraverso la rotta anonima e silenziosa da Annaba verso Porto Pino. A guidare il tutto del resto c'è un algerino dal curriculum zeppo di relazioni criminali, tale Abu Mohammad al Jazrawi. In pochi sanno cosa sta progettando ma il ponte tra l'Algeria e la Sardegna è uno snodo chiave nella rotta terroristica nel Mediterraneo. Il barchino partito il 27 luglio dal tramonto di Annaba ha attraccato all'ora di fuoco, poco dopo le 14 del giorno dopo, sul proscenio delle dune di Porto Pino, nel Sulcis disoccupato e abbandonato. La rotta dimenticata, però, piace al governo d'Algeri e allo Stato islamico.

Mauro Pili
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