"Difficile esporsi in questo momento, ma la situazione che io e tante altre persone viviamo è ormai insostenibile".

Chiara - usiamo un nome di fantasia per tutelare la privacy della nostra lettrice che ci ha contattato - è la figlia di un uomo che attualmente si trova ricoverato in un hospice in Sardegna, ed è un malato terminale.

Tutte le strutture dell'Isola sono chiuse agli ingressi dei parenti, "nessuna visita è consentita. Senza eccezioni".

"Ho scritto mail a tutti: dal presidente Solinas che, in barba al suo passaporto turistico non ha previsto alcun 'passaporto per il fine vita', all'assessore alla Sanità, alle direzioni dell'Ats, a tanti consiglieri regionali, ma finora non ho avuto risposte concrete", spiega Chiara.

"Nonostante i bassissimi contagi - aggiunge - i pazienti continuano ad essere privati dell'affetto dei loro cari. L'unico contatto con l'esterno può essere una videochiamata, che nel caso specifico di mio padre non può essere effettuata per circostanze che non dipendono da lui. Ma quello che conta davvero è che gli hospice non possono e non devono essere trattati alla stregua degli altri luoghi di cura: hanno una vocazione importante di accompagnamento alla morte".

"Rappresentano - sottolinea la nostra lettrice - per il paziente la sua ultima casa. Una casa non scelta ma imposta dalla malattia dove, nonostante tutto, si cerca di assaporare quegli ultimi istanti di vita rimasti. Si arriva negli hospice per l'impossibilità di gestire la malattia da soli. Una malattia che ti spoglia anche della possibilità di morire in casa".

Unica consolazione, "è che il proprio caro possa ritrovare un prolungamento della vita familiare e un briciolo di quella dignità frantumata da anni di sofferenze sia fisiche che mentali".

Un conforto che oggi viene a mancare per le restrizioni dovute al coronavirus e alle misure per evitarne il contagio, ma in questo modo "si è violata la possibilità di vivere il fine vita con quel supporto insostituibile che è la famiglia. Si è agito con ordinanze, decreti, senza davvero interrogarsi su quale fosse la vera tutela non 'del' malato ma 'per' il malato. Una vita che si conclude da soli. La sofferenza esistenziale, la paura di essere abbandonati oggi sono voci inascoltate. In tutto questo dolore rimane un'unica certezza: che i giorni passati non torneranno più indietro".

Eppure, ha verificato, "ci sono strutture in altre regioni che consentono gli accessi per casi eccezionali, in Sardegna non è così, nessuno ci ha pensato".

Chiara non vede suo padre da due mesi, "e non so se e quando potrò incontrarlo di nuovo".

Alle istituzioni chiede solo una cosa: "Che venga permesso, nel rispetto di tutte le norme di sicurezza, a chi si trova nelle nostre condizioni di far visita ai propri cari che sono malati terminali. Mio padre è cosciente, lucido, riusciamo ad avere contatti con lui solo attraverso uno scambio di messaggi. Ma niente può sostituire l'abbraccio della sua famiglia". Le istituzioni, conclude, "hanno un'importante responsabilità etica in questa non tutela dei diritti umani".

Sabrina Schiesaro

(Unioneonline)
© Riproduzione riservata