«Professore, quando ne usciremo?

«Sicuramente non presto, non prima dell'estate. Il problema è che in una nazione e in un continente il virus non si muove nello stesso tempo e con le stesse modalità quindi ci saranno ondate successive che coinvolgeranno fette di popolazione e territori diversi. Spero che presto ci siano segni di decremento al Nord e che al Sud non si verifichi lo stesso scenario».

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Aldo Manzin, ordinario di Microbiologia all'università di Cagliari, non ama le previsioni né vuol essere rassicurante a tutti i costi.

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Quando sarà raggiunto il picco in Sardegna?

«Neanche seguendo modelli matematici e previsionali si può rispondere a questa domanda con certezza, nemmeno con approssimazione. Ci sono troppi fattori che possono determinare un'accelerazione o una decelerazione nel numero di casi prima e dopo il picco, dipende dalla capacità di contenimento che avranno le misure che sono state intraprese».

Perché in Sardegna c'è un numero di casi di positività negli ospedali molto superiore al resto d'Italia?

«Gli operatori sanitari sono più esposti e a cariche virali più elevate perché hanno a che fare con i malati, spesso in situazione di emergenza e in condizioni di operatività non ottimali. È risaputo che l'ambiente ospedaliero e sanitario in generale rappresenta un importante bacino di espansione e amplificazione della circolazione di agenti di infezione».

Diplomazia a parte?

«Non ho una risposta plausibile».

Le iniziative di contenimento sono state tardive?

«L'Italia, e la Sardegna, si sono mossi un po' in ritardo ma anche dopo di noi altri governi hanno fatto tutti così. Si fatica a capire che un virus non riconosce confini né le posizioni dei singoli governi o governatori».

Che cosa pensa delle misure di stampo coreano annunciate dal presidente della Regione?

«Il modello coreano funziona e ritengo che tutto ciò che si può fare per allargare i sistemi di identificazione dei soggetti a rischio sia da prendere in considerazione».

Bisogna partire dalle persone più a rischio, compreso il personale sanitario?

«Sì, si inizia con le persone più esposte per poi allargare l'osservazione. Ma la cosa più importante in questa fase è osservare le misure di isolamento e distanziamento sociale. Dove sono state osservate con rigore si vede un lieve rallentamento».

Secondo uno studio pubblicato su Science su cento casi documentati ce ne sarebbero circa 600 non documentati.

«Ciò che oggi sappiamo è frutto dell'osservazione medica ma è presumibile che ci sia una quota elevata di soggetti del tutto asintomatici non identificati e non raggiunti da sistemi di controllo. Quando ci libereremo dell'onda epidemica potremo rilevare, anche con sistemi molecolari, quanti soggetti sono stati infettati».

La Sardegna ha la possibilità di fare uno screening di massa?

«I virologi e i laboratoristi sono in grado di mettere a disposizione la loro capacità tecnica e tecnologica ma se ciò si farà dipende dal decisore politico».

Ritiene percorribile, magari non ora, un'attenuazione delle misure di contenimento nelle zone, come il sud dell'Isola, con pochi casi?

«Assolutamente no. Capisco che l'impatto sull'economia sia disastroso ma si rischierebbe di vanificare tutti gli sforzi».

Il virus è stato creato in laboratorio?

«Una fake clamorosa, non c'è alcun presupposto biologico o biotecnologico che faccia pensare che il virus sia nato nella mente di un bioterrorista per far crollare economia».

Avete abbastanza fondi per fare bene il vostro lavoro?

«Vorremmo averne di più non solo per consentire a chi c'è di lavorare meglio nei laboratori ma anche per mettere nella condizione i tanti giovani capaci e volenterosi di poter dare una mano».

Fabio Manca

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