Il caso Ilva continua a far discutere, e quel che è peggio sembra non ci sia via di uscita. La Procura di Taranto, sulla base dell’esposto proposto dagli incaricati del Governo, ha aperto un’indagine al fine di accertare, fra l’altro, la sussistenza del reato di cui all’articolo 499 c.p., giacché la decisione di Arcelor Mittal di fermare gli impianti potrebbe procurare “un grave nocumento alla produzione nazionale”.

Anche a voler esprimere una valutazione sull’iniziativa descritta, comunque astrattamente condivisibile sul piano degli intenti, a mio parere essa appare tuttavia largamente marginale e, probabilmente, inidonea, se non sul piano del “ricatto” politico sicuramente su quello pratico, rispetto alla soluzione delle questioni di carattere occupazionale, oltre che di carattere ambientale e medico, che la vicenda nel suo complesso reca con se.

L'INTERESSE NAZIONALE - Ad essere in ballo, laddove qualcuno non lo avesse ancora capito, è l’interesse nazionale declinato in tutte le sue possibili connotazioni, e ciò che maggiormente stupisce è l’atteggiamento di una certa parte della politica, in particolare leggasi dei vari partiti dell’opposizione, i quali, piuttosto che stringersi intorno al Premier Conte per offrire, come dal medesimo umilmente, onestamente e responsabilmente richiesto, il loro contributo per addivenire ad una soluzione forte, unanime e concordata di questa triste ed annosa vicenda, pare preferiscano lasciare la “patata bollente” in mano alla maggioranza giallo rossa in attesa del più che probabile disastro economico e sociale al solo fine di addossarne, a quella stessa maggioranza, tutte le responsabilità, ad onor del vero risalenti nel tempo, ed accrescere così il loro consenso in vista della tanto “gufata” caduta imminente del governo, se mai ci sarà, prima della sua scadenza naturale.

I PARTITI - Personalmente ne dubito fortemente. Ma, alla fine della fiera, questo atteggiamento a chi giova? Agli italiani? Alle circa quattordicimila persone occupate nello stabilimento tarantino? Direi proprio di no. Con buona verosimiglianza potrebbe giovare unicamente a chi ha voluto fare della propaganda elettorale permanente uno stile di vita politica. Peccato che poi, conti alla mano, resterebbero solo le rovine da governare. E peccato pure che, laddove quegli stessi partiti dell’opposizione avessero proposte valide per salvare lo stabilimento tarantino e non le condividessero col Premier per poi poter dire severamente “avrebbe dovuto fare o avrebbe dovuto dire”, si renderebbero responsabili per omissione.

Sì, perché da cittadina italiana mi aspetto che di fronte ad emergenze così stringenti, e non solo, l’intero governo, si intenda maggioranza e opposizione, si muova compatto lasciando da parte qualsivoglia individualismo e interesse di partito. Mi chiedo se questo sia pretendere troppo e, francamente, credo proprio di no perché dovrebbe essere la normalità. Ma anche a prescindere da queste considerazioni, e cercando di entrare nel merito delle questioni sul tappeto, ai fini della risoluzione del caso Ilva, deve prevalere il diritto al lavoro o il diritto alla salute? E’ giusto che si debba scegliere tra l’uno e l’altro diritto? E’ possibile salvaguardarli entrambi questi diritti costituzionalmente garantiti?

LA CORTE EUROPEA - Offrire delle risposte è davvero complesso. Intanto perché, checché se ne voglia dire, nel raffronto tra il diritto al lavoro e il diritto alla salute, quest’ultimo appare certamente prevalente non foss’altro per il fatto che venendo a mancare il secondo non avrebbe ragione di essere il primo. Quindi, perché, perfino la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, non più tardi dello scorso gennaio, ha condannato lo Stato Italiano per non aver tutelato la salute e il diritto alla vita privata dei tarantini omettendo di adottare strumenti giuridici e anche normativi utili a contrastare il permanente stato di inquinamento causato proprio dalle emissioni dell’Ilva.

Infine, perché a mio modesto avviso, stante il rilievo degli interessi in gioco, quello lavorativo compreso, forse sarebbe utile che il Premier si avvalesse di un Collegio Peritale Tecnico composto di Ingegneri, Medici e Giuslavoristi, a cui affidare il compito delicatissimo di elaborare un piano di intervento utile a salvaguardare sia la salute dei tarantini sia il loro sacrosanto diritto al lavoro. Il caso dello stabilimento Tarantino, peraltro, non va considerato singolarmente e di per se stesso, ma rappresenta, purtroppo, il riflesso di una crisi che interessa l’Italia intera e non solo.

Le ciminiere di Ottana (archivio L'Unione Sarda)
Le ciminiere di Ottana (archivio L'Unione Sarda)
Le ciminiere di Ottana (archivio L'Unione Sarda)

IL CASO SARDEGNA - A voler focalizzare l’attenzione sulla nostra Sardegna, non possiamo fare a meno di prendere in considerazione le alterne vicende del polo industriale di Ottana che, seppure nato sotto i migliori auspici nel corso degli anni settanta per combattere il banditismo, è purtroppo naufragato a colpi di fallimenti, licenziamenti e inquinamento ambientale. Nel nostro caso non si può certo pretendere che sia solo la Regione ad occuparsene, dovendo piuttosto la politica nazionale intervenire con decisione soprattutto per l’esecuzione delle operazioni di bonifica dell’area interessata e del conseguente rilancio economico della stessa, colpita nel corso degli anni da fenomeni di spopolamento crescente.

Vogliamo davvero che le nostre zone interne muoiano definitivamente? Se così fosse, cosa resterebbe della nostra amata isola? Certo il caso tarantino, considerata la rilevanza economica dello stabilimento in discorso, riesce a catalizzare l’attenzione a livello nazionale, ma anche Ottana merita risposte, e le merita in fretta. L’Italia chiama e il Governo deve rispondere compatto presentandosi come armoniosamente collaborativo nell’interesse della nazione. Laddove continuasse a difettare lo spirito di collaborazione, per l’Italia sarebbe la fine: chiunque sieda al governo deve servire gli italiani e non gli interessi del proprio partito.

Giuseppina Di Salvatore

(Avvocato - Nuoro)
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