Quando votare lascia tutto inalterato.

La Spagna nell'ultimo periodo si è recata alle urne con una frequenza quasi annuale. Una simile insistenza però non risolve la situazione di stallo in cui versa quel sistema politico.

Non esiste una reale maggioranza né di centrosinistra, né di centrodestra. In Spagna i socialisti di Sanchez hanno interrogato l'elettorato, sperando di raggiungere una maggioranza autonoma, ma la scommessa è stata persa.

Di contro, il centrodestra aumenta i propri consensi ma il successo di Vox, una formazione dai toni molto estremi, non incontra attualmente la disponibilità del partito popolare per un'eventuale collaborazione.

L'invocazione delle elezioni non ha portato ad alcun chiarimento del quadro politico spagnolo e questo inevitabilmente suggerisce qualche considerazione sulla situazione italiana. Premesso che i contesti sono diversi, vi sono infatti alcune analogie su cui merita riflettere.

I movimenti generati dal risentimento popolare sono destinati a lasciare spazio a formazioni cosiddette sovraniste, le quali assolvono con maggiore efficacia il compito di denunciare il senso di instabilità sociale presente in tutte le nazioni europee dove la crisi economica lascia percepire il rischio di un forte ridimensionamento del proprio benessere.

Ciudadanos, la formazione che più assomiglia al Movimento 5 Stelle, crolla, dimezzando i propri voti che, probabilmente, sono intercettati da Vox, il soggetto che sembra ispirarsi alla Lega di Salvini.

Un soggetto politico che, analogamente al partito dell'ex ministro dell'Interno, raddoppia i propri elettori nel giro di un anno, imponendosi come principale soggetto capace di assorbire l'insoddisfazione spagnola.

Paradossalmente Vox in Spagna si dichiara sovranista come la Lega, ma il suo principale nemico è l'indipendentismo catalano che a sua volta si ispira ai principi dell'autodeterminazione promossi dalla Lega Nord di Bossi, ormai trasformatasi da partito territoriale a partito espressione dell'identità nazionale.

Emerge così il tratto distintivo della propaganda del XXI secolo: l'estrema velocità e rapidità con cui cambiano i programmi.

Finita l'era dei partiti con una piattaforma politica statica, ancorata all'ideologia, si afferma con veemenza l'era della comunicazione politica ispirata al marketing. Ciò comporta un continuo cambiamento dell'agenda: in sintesi ogni iniziativa viene sottoposta a un sistematico rinnovamento per apparire sempre più “nuova” agli occhi degli elettori, ormai considerati alla stregua di clienti-consumatori.

Una simile formula mutuata dalle tecniche di vendita dimostra di funzionare efficacemente in termini di acquisizione di consenso. Viceversa, dimostra di avere profonde lacune quando deve tradursi in governabilità e stabilità, perché non garantisce quasi mai la realizzazione di misure e provvedimenti presentati come innovativi.

In Spagna, come in Italia, assistiamo a situazioni di costante ingovernabilità, dove l'unica risorsa appare il ricorso al voto. In Italia, a differenza che in Spagna, si è sostituito al ricorso effettivo alle urne un clima di perenne campagna elettorale, in quanto l'esito del marzo 2018 viene delegittimato dalle verifiche parziali rappresentate dalle europee e dalle regionali.

Di conseguenza si profila, con qualche ragione, l'esigenza di “fare come in Spagna”, ovvero andare alle urne. Tanto più che si annunciano all'orizzonte due sicuri vincitori, la Lega e Fratelli d'Italia, destinati a imporsi nella competizione, sebbene non vi sia altrettanta certezza di avere in seguito una salda e compatta maggioranza in parlamento.

La democrazia sembra perciò vivere un incubo, dove il diritto di esprimersi non riesce più a trovare un adeguato corrispettivo nel dover amministrare un Paese.

In Spagna le urne si sono appena chiuse, ma qualcuno non esclude di tornare al voto in primavera.

L'auspicio è quello di non dover vivere in un simile scenario anche in Italia, dove l'unica risorsa è quella di votare senza un fine.

Marco Pignotti

(Università di Cagliari)
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