Ho insegnato scrittura creativa e a Hong Kong ho spiegato il genio di Julio Cortázar e il suo "Rayuela, il Gioco del Mondo". Pazzia, perché ci vuole ben altra statura per sviscerare un capolavoro che cambia i paradigmi della letteratura e per portare a sintesi uno dei due titani della cultura argentina (l'altro è ovviamente Borges). E perché proporre Rayuela a un uditorio non adeguatamente preparato significa cercar guai.

Eppure ho un ricordo tenero di quelle lezioni e dello sconcerto provocato dal libro.

"Non è neanche un romanzo d'amore, che cos'è infine?", mi chiedeva un'attenta lettrice che tra la parte parigina del racconto (Dall'altra parte), quella argentina (Da questa parte) e la terza (Da altre parti), si era persa.

Invece si trovano meravigliose pagine d'amore in "Rayuela", di pura passione o alla Kierkegaard, e anche questo sentimento Cortázar lo declina in modo sublime, all'interno di un quadro multi sfaccettato che si chiama vita.

Tuttavia, confesso, ho capito "Il Gioco del Mondo" (il nostro giocare a Paradiso con una campana disegnata per terra) solo quando ho letto un antecedente libro di Cortázar, "I Re", sul mito del Minotauro, la creatura taurina che, come dice Brullo, "è il diverso in esilio, l'altro imprigionato in un'astrazione, il selvaggio sconfitto dalla mania mentale dell'uomo, il cui esito è labirintico".

Nel 1949 Cortázar dice profetico: "Ho visto il Minotauro come una vittima del potere e Teseo come il guardiano e il difensore di tale potere. E Arianna mi ha rivelato il senso veritiero del suo stratagemma.

Cioè quel filo che, invece di voler guidare Teseo verso l'uscita, è, in effetti, un messaggio d'amore per il fratello prigioniero".

Cortázar è in fondo un emigrante, un étranger, ecco il senso del tutto, che decide di tornare a casa per non vivere imprigionato in un mondo alieno, e invece precipita in un labirinto da cui non c'è uscita se non con la morte. Il Minotauro, in fondo, rappresenta la solitudine esistenziale, e anche il Gioco del Mondo non dà motivo di speranze, non apre orizzonti, è un solitario quasi autistico. Non serve ritornare da Parigi a Buenos Aires (non a caso buona parte del racconto argentino è ambientata in un manicomio), l'emigrante vive ormai in un cul de sac esistenziale.

Chi ha reso il Minotauro, che era “semplice e taciturno”, un infelice chiuso nel labirinto? Arianna non ha dubbi e dice al padre Minosse: "Chi lo rese feroce? I tuoi sogni. Chi gli portò la prima trebbiatura di ragazze e fanciulli, strappati ad Atene con il terrore e la supremazia? Lui è la tua opera furtiva".

Minosse è dunque il potere, l'istituzione, è lo Stato che condanna milioni di persone all'emigrazione (dal 1861 al 1913, 14 milioni di italiani sono emigrati per fame dall'Italia; solo nel 2017 sono espatriati in 285mila, raggiungendo i livelli record degli Anni 50; e mi chiedo quanti siano i sardi emigrati dalla Sardegna solo nel dopoguerra).

Teseo non è un eroe positivo, attenzione, lui non libera ma uccide il diverso. E purtroppo tanti Teseo sono tra noi, non quelli che fanno buu per disturbare un rigore (l'abbiamo fatto tutti allo stadio), ma quelli che dicono fieri: "Io ho scelto di restare in Sardegna", omettendo di chiarire che loro hanno avuto una scelta, negata alla maggior parte degli emigranti, e che hanno potuto magari approfittare di appartenenze e scorciatoie.

I Teseo che citano a sproposito il senso della famiglia, il luogo, le tradizioni e su ballu tondu, come ne fossero le vestali; che offendono i nostri figli e i nostri nipoti che hanno dovuto abbandonare un Territorio Arretrato, forzati a emigrare da una politica che ci sta marginalizzando e impoverendo; che si vantano delle bellezze e dei tesori sardi come se ne fossero loro gli artefici, i re, gli dei; che rifiutano qualsiasi confronto perché vivono bene e non devono ascoltare nessuno.

Il Minotauro, lui, non si ribella alla morte. Ma qui i muri si stanno sgretolando da soli, e il nostro labirinto ha una scadenza.

Ciriaco Offeddu

(Manager e scrittore)
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