"La vita è un viaggio. E come ogni viaggio arriva il momento di cercare un porto sicuro. È lì che decide il cuore, e il mio appartiene al Cagliari, e alla Sardegna". Non sono parole di Socrate, o del Dalai Lama. Ma di Radja Nainggolan.

Come ci sono stati "l'anno del dragone" e "l'anno del samurai", c'è adesso "l'anno del Ninja", quello del quinto moro-indonesiano, l'anno che la Sardegna, quasi incredula, sta incominciando a vivere in questi giorni come un piccolo-grande racconto epico.

Ma Radja Nainggolan stavolta merita la prima pagina non solo perché è un calciatore unico, un genio imprevedibile saltato fuori dalla lampada, una icona folgorante, un modello amato e maledetto, sregolato e geniale. La merita perché è un figliol prodigo che torna evangelicamente a casa, un eroe guerriero che sceglie il porto sicuro degli affetti che non si estinguono, preferendolo alla lotteria dei guadagni facili e alle lusinghe dei club blasonati.

Dice ancora il Ninja, in un video di presentazione folgorante: "Con questa maglia rossoblù addosso ho lottato e sofferto: ora sono pronto per nuove battaglie". Radja sceglie di ricominciare da dove la sua stella ha iniziato a brillare, ripartire dal primo capitolo della sua fortuna, decide di restare vicino a sua moglie Claudia, malata di tumore, a cui non vuole far mancare il suo affetto. E con lui, intorno a lei, si stringe una intero popolo. Quello di Radja è uno degli ultimi grandi romanzi non convenzionali dello star system italiano. È stato trattato male dalla Roma e vergognosamente dall'Inter, cacciato dopo aver regalato ai nerazzurri la qualificazione alla Champions con una delle sue fucilate in rete, proprio nell'angolino, all'Empoli. E Radja è la quintessenza del celebre dittico genio-e-sregolatezza, un vero uomo globale: belga, ma di origine indonesiane, con una sorella che gioca a calcio (pure lei), una infanzia povera e piena di sacrifici, sardo di adozione, romano per diritto di consacrazione, milanese per decreto di esilio e spirito di avventura.

Radja ha un presente da vip, malgrado sia stato allontanato da due dei club più importanti d'Italia per due anni consecutivi, perché considerato troppo ingombrante, nel calcio dei fichetti di successo. Odiato dai manager, amato dai tifosi.

IL RITORNO - Nainggolan torna e una regione lo attende con il fiato sospeso. Torna con sue creste scolpite tridimensionali e policromatiche (in un anno ne ha cambiate 20 in 30 partite) con le sue follie (il divorzio da Roma diventò realtà dopo un video rivisto a tradimento in cui appariva non esattamente sobrio) ma è sempre lui: unico per la sua forza in campo, per fantasia, per generosità, per i suoi calzini lacerati dietro polpacci ed esibiti con spirito guerriero.

Torna con il suo talento unico, e la forza di trascinare dietro di sé tutte le squadre: in Radja ogni cosa è iperbole, in meglio e in peggio, ma soprattutto in meglio.

Su di lui ha scritto un interista innamorato del calcio come l'editore Michele Dalai: "Nainggolan fuma, beve e bestemmia, ma secondo me, a scavare fino in fondo, forse qualche difetto glielo si trova".

FUORI DAI MARGINI - Vero. Una definizione perfetta, per una storia fuori dai margini.

Contro di lui si sono esercitati tutti i mestieranti dell'opinionismo conformista nazionale: finti sportivi indignati, finti moralisti, finti tifosi che pretendono di fare la predica al trasgressore irrequieto in nome di non si sa quale precetto politicamente corretto. Lo hanno dichiarato "finito", almeno tre volte, e sempre lo hanno visto risorgere.

UNICO - La verità è che Nainggolan va preso così com'è: lui sta al calcio come i poeti maledetti alla nouvelle vague, come Lou Reed e Jim Morrison al rock, come Elon Musk al mondo dell'auto, come Andy Warhol all'arte, Oscar Wilde alla letteratura. Pretendere da Nainggolan che faccia "il bravo ragazzo" è come chiedere a Vittorio Sgarbi di presentare un certificato di buona condotta. Lui di fatto appartiene, con Paul Gascoigne, Eric Cantona, George Best e Diego Maradona alla famiglia dei grandi "maledetti" della palla tonda. Per me Nainggolan è di più: pop art, una installazione vivente. Pochi in Serie A sono capaci di ripetere quel gesto atletico che è il suo marchio di fabbrica, la scivolata strappa-palla con ripartenza rapida.

Perché il Ninja, quando è ispirato fa così: insegue l'avversario da dietro, va in scivolata e gli aggancia il pallone con il piede ad uncino (e fin qui siamo ancora nel campo dei gesti umani) ma poi non si ferma: si rialza in piedi senza interrompere la corsa, si gira e riparte palla al piede (e questa è fantascienza).

SIMBOLO DELLA SARDEGNA - Nainggolan sarà l'attrazione che riempie la Sardegna Arena, la scintilla che accende lo spogliatoio, il bengala che illumina una intera regione, diventandone la bandiera nel mondo. Ai bambini spiegate che dai modelli non si apprende la lettera, ma lo spirito.

Anche perché Nainggolan è la tentazione che tutti subiamo (almeno una volta) nella vita e, come diceva Wilde: "L'unico modo per liberarsi di una tentazione è cedere al suo richiamo".

Luca Telese

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