Fino a ieri Matteo Salvini ripeteva ogni giorno che il governo era al sicuro, che non esisteva «nessun rischio di crisi». E tutti scommettevano che il ministro dell'Interno, invece, facesse buon viso a cattivo gioco in nome di una sagace tattica diversiva e progettasse di staccare la spina al più presto per mandare il Paese al voto. Mentre adesso, proprio ora che il leader della Lega pronuncia ogni giorno frasi sempre più minacciose (come ieri sulla Tav contro Danilo Toninelli), proprio ora che proclama spavaldo: «La finestra del voto anticipato è sempre aperta!», i Cinque stelle si sentono sicuri come mai in passato.

Gli uomini della squadra pentastellata ripetono in coro il proprio mantra con la stessa sicurezza che mostra il ministro del Parlamento Riccardo Fraccaro quando nel suo ufficio di Palazzo Chigi mi dice: «Governeremo per altri quattro anni». Questi discorsi sono fondati sullo stesso prudente ottimismo del ministro Alfonso Bonafede che la settimana scorsa, in un camerino de La7, mi chiedeva: «Ma secondo te uno va al voto quando tutte le cose che ha promesso sono ancora in ballo? Noi stiamo lavorando per portare a casa i nostri provvedimenti, come la riforma del processo, loro combattono per le cose che hanno promesso ai loro elettori».

Un altro sottosegretario del M5s sotto garanzia di anonimato mi fa notare divertito questo paradosso: «Lo sai qual è il plotone più grande tra i quotisti di quota 100? Si presenta alle armi tra settembre ed ottobre, quando finalmente arriveranno al traguardo i 25mila pensionati della scuola».

E tu - osserva la mia fonte - ce lo vedi il mio collega che ha organizzato questa festa di compleanno che non si presenta a cantare "tanti auguri a te!" quando i festeggiati fanno le foto soffiando sulle candeline? Eddài, i leghisti sono dentro questa storia esattamente come noi. Solo che fanno finta che non sia così».

Questo stato d'animo ricorda il più sarcastico ed efficace titolo felliniano degli anni Ottanta, "La nave va", che all'epoca celebrava la sopravvivenza litigiosa del pentapartito. C'è una grande verità che spiega perché alla fine ogni disputa si ricompone, perché come diceva Eugenio Montale, c'è qualcosa che "che turbina e non accade".

Le Autonomie nelle prossime ore possono davvero valere lo scalpo del governo Cinque stelle, o saranno le ennesima trasposizione dell'adagio: situazione disperata ma non seria? Dopo tutto è già accaduto: pochi mesi fa ci dicevano che il governo sarebbe caduto sulla Tap, Poi entrato in fibrillazione sulla Tav. Sembrava quindi che il decreto sicurezza fosse questione di vita o di morte, che sulla Diciotti, su cui era dovuto intervenire Mattarella, tutto si rompesse, come pure sulla disputa sofistica tra il deficit del 2.4% o del 2.04%. Nemmeno lì è accaduto nulla.

Quindi era davvero certo, che sul caso Siri sarebbe caduto il governo, ma noi - giustamente - non ci abbiamo creduto, tantomeno sul caso Rixi.

Solo una settimana fa, sembrava che il Mosca-Gate fosse davvero il capolinea, la fine del mondo. In mezzo dispute e baruffe sui progetti di legge, sulle cosiddette "manine", sulla manovra, sulla Flat Tax per le famiglie, sulla trattativa con l'Europa, sul voto per eleggere il presidente della commissione europea. Macché, panta rei, tutto scorre. Matteo e Luigi, come due innamoratini, si lasciano, si riprendono e si rimettono insieme, seguendo l'insostenibile leggerezza di una chat adolescenziale. Di Maio dice melodrammatico: «Se vuole rompere davvero lo dica!», poi Salvini aggiunge tetro parafrasando Sting: «Ho perso la fiducia in lui». E adesso - tuttavia - si promettono di nuovo amore, ma corrono anche, come le adolescenti, dalle amiche a consultarsi: «Secondo te mi ama ancora?».

Dei motivi che spingono alla prudenza Salvini abbiamo scritto tante volte: in principio il segretario della Lega sosteneva di dover essere vaccinato contro la sindrome del 40% che aveva distrutto Renzi («Io non ripeterò il suo errore con il referendum»). Poi ha pensato al precedente di Silvio Berlusconi che chiese (inutilmente) il voto e non lo ottenne nel 1995. E infine il leader della Lega si è preoccupato per il tritacarne del Russia-Gate, che lo fa salire nei sondaggi, ma che scava una ferita nella sua inquietudine. Non vai spensieratamente in battaglia, se non sai che cosa può uscire fuori da un ventilatore pieno di intercettazioni, carte avvelenate, fotografie, reperti che danzano davanti agli sguardi attenti delle cancellerie di mezz'Europa. Uomini come Giancarlo Giorgetti, o i governatori del Nord, gli dicono: «Matteo è il momento, rompi sul federalismo e andiamocene tutti a casa a preparare la campagna elettorale». Ma per Salvini l'incubo, lo spettro, il pensiero più angosciante, è quello di doversi rimettere al tavolo delle candidature con Silvio Berlusconi. La tentazione di gettare queste carte per aria e giocare a "solo-contro-tutti" è potente. Ma poi Salvini si ricorda di essere cresciuto alla scuola del calma e gesso. E per questo la spina resta attaccata nella presa.

Luca Telese

(Giornalista e autore televisivo)
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