"È paradossale che il porto di un’area industriale strategica per la crescita della Sardegna sia sottoposto a vincoli paesaggistici che ne pregiudicano l’operatività e lo sviluppo". Così il presidente della Regione Sardegna, non più tardi della trascorsa settimana, sostenuto dal coordinatore regionale di Forza Italia, Ugo Cappellacci, dal sindaco di Cagliari Paolo Truzzu e dal deputato Salvatore Deidda, si è espresso sull’esito dell’incontro tenutosi a Roma, nel corso del quale il ministero competente, con la complice assenza del Direttore Generale del Dipartimento Archeologia, Belle Arti e Paesaggio del Mibact, si sarebbe opposto alla rimozione dei vincoli paesaggistici operanti sull’area portuale nonostante il via libera alla riedizione della autorizzazione paesaggistica già ottenuto in sede di Conferenza di Servizi.

Il ministero per i beni e le attività culturali, dal canto suo, ha replicato liquidando velocemente la faccenda, significando la propria volontà di procedere, leggi permettendo, alla riedizione dell'autorizzazione paesaggistica.

Nessuno nega che il ministero abbia il diritto di precisare e chiarire la propria posizione, come pure nessuno di noi può verosimilmente negare che la questione "Porto Canale" sia davvero annosa e complessa. Tanto più se si considera e si ricorda che nel 2000 l'autorizzazione paesaggistica alla realizzazione dell’area portuale in questione era stata annullata in via definitiva dal Consiglio di Stato.

Non possiamo pensare di colpevolizzare noi stessi per il fatto di non riuscire a far valere la nostra autonomia statutaria: sebbene sia vero che la Sardegna, nel suo essere Regione a Statuto Speciale, goda del potere di intervenire direttamente in materia di tutela paesaggistico-ambientale, è altrettanto vero che tale potere trova un limite proprio tra gli enunciati dello Statuto stesso.

Sembra quasi la storia del cane che si morde la coda: una storia che per davvero pare renderci succubi delle determinazioni del ministero. Eppure la situazione è grave e va trattata a livello centrale con ogni opportuna attenzione e cautela.

Nel caso di specie non si discute di un’area qualunque sottoposta a vincolo paesaggistico, ma di un punto nodale per l’economia isolana. Non riuscire ad ottenere la riedizione della ridetta autorizzazione si tradurrebbe in un ulteriore e doloroso colpo mortale inferto alla nostra capacità, già gravemente ferita, di rapportarci all’esterno, per così dire, condannandoci ad un ulteriore isolamento e pericolo di sottosviluppo.

E allora quid faciam? Secondo il ministero che dovremmo fare se poi le leggi vigenti così genericamente invocate dovessero confliggere con la possibilità di ottenere concretamente la più volte menzionata riedizione dell'autorizzazione? Dovremmo davvero rassegnarci ad assistere impotenti al tracollo di una delle già poche aree economiche fondamentali per la nostra Isola? E ancora: non è che, in fondo in fondo, questa opposizione del ministero è in qualche modo indicativa e sintomatica delle criticità da sempre esistenti nella creazione e nella efficace conduzione del dialogo concertato tra la Sardegna e il Governo centrale?

Mi sembra che a Roma tutto quanto concerna la Sardegna, con le sue molteplici specificità e specialità, rappresenti un aspetto marginale della vita politica nazionale, quasi un disturbo, e che in realtà manchi, anche nel caso specifico di Porto Canale, la volontà di dare concreta ed efficace soluzione al problema il quale, vista la pervicace e ingiustificata ostinazione del ministero competente, necessiterebbe di una decisione politica in senso stretto, ossia di una decisione che, in considerazione della nostra peculiare condizione di insularità, vada anche al di là dell'esistenza dei vincoli e delle norme e che sia sostenuta unicamente dalla rilevanza dell’interesse primario per la nostra Regione che si intende perseguire, ossia l’operatività e la possibilità di sviluppo dell’area portuale più importante dell’Isola.

La posta in gioco è altissima e non possiamo permetterci di uscire sconfitti da questa battaglia. Giuseppe Conte, presidente del Consiglio, sarà all’altezza delle nostre aspettative ponendosi doverosamente come l’uomo della soluzione? Troverà il coraggio necessario per adottare una decisione non conforme a quella del ministero oppure si appiattirà comodamente su quella valutazione? Chi può dirlo. L’unica cosa certa è che Porto Canale deve essere salvaguardato e i vincoli paesaggistici definitivamente rimossi: costi quel che costi.

Giuseppina Di Salvatore

(avvocato - Nuoro)
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