Non voglio sopravvivere in un mondo in cui sia impossibile per le persone farsi comunità. In periferie allontanate dalla pulsazione della vita, in cui il neo-liberismo abbia compiuto il misfatto della frantumazione delle classi per alimentare solo un sottoproletariato indifferenziato e senza speranza.

Non voglio sopravvivere nella scomparsa: delle fasce medie, della borghesia, dello stato sociale, del socialismo nobile e illuminato, della solidarietà, di un futuro possibile svincolato dalle oligarchie locali e transnazionali, dei grandi cambiamenti che la tecnologia ancora permette e distribuisce. Non voglio sopravvivere in un ambiente privo di giovani e di esempi positivi, di ricerca e studio, di talenti, di cultura e gioia.

Il tradimento compiuto da certa sinistra per motivi di sopravvivenza biologica e il suo conformarsi al capitalismo estremo, quello finanziario, il meno etico, il più virtuale e velenoso, stanno devastando il territorio. Sia i sostenitori storici di un'utopia sociale, sia gli avversari si trovano di fronte un mostro cangiante e difficilmente definibile, ieri preda non di un'ideologia ma del "desiderio di essere proletariato", Malraux dixit, oggi dello spasmo bulimico di "essere un'élite", di guardare dall'alto un mondo in disgregazione sentendosene staccati, non colpevoli e non infetti.

Come dice Cacciari, la sinistra, nel suo tentativo di portarsi al centro e in alto, nell'Eliseo, si sta riducendo al centro storico.

E così facendo trascina con sé, in questa diminutio inarrestabile, la pletora dei guardatori all'indietro, dei conservatori acerrimi, dei difensori dei propri benefici e scorciatoie, di chi spaccia appartenenza e vassallaggio per cultura. Non c'è spazio per gli innovatori, per i rivoluzionari, per Gesù Cristo. Le icone sono diventate Soros, Draghi, Moscovici, e i loro portavoce. Mai si era vista una sinistra che facesse tifo per l'arrivo della Triade in Italia, per il commissariamento alla greca, per la cancellazione di un popolo.

Da un menu di futuri a portata di mano siamo finiti alla scelta unica di un capitalismo acido e senza spirito, che avvelena i pozzi della conoscenza e delle radici. I grandi imprenditori illuminati, alla Olivetti, sono stati sconfitti, inglobati. Chi detta le regole sono i profeti della finanza a tutti i costi, i Soloni che si credono in diritto di qualificare una civiltà solo attraverso alcuni parametri artificiosi e privi di scientificità. Da dove è sbucato il 3% (rapporto deficit/Pil) che separa ormai i buoni dai cattivi, gli eletti dai reietti, e che determina il futuro dei nostri figli e nipoti, la loro collocazione nel mondo? Abbiamo scelto noi poveracci che la Banca d'Italia non fosse più il prestatore di ultima istanza per calmierare i mercati? Che la Banca d'Italia non fosse più "d'Italia", ma posseduta dai privati?

Il progetto di una società che pensavamo di desiderare è miseramente fallito. Come nel film Matrix, la realtà - una volta staccato il tubo della basica alimentazione - appare un territorio grigio e post-bellico, una passeggiata tra i ruderi delle riforme che non si sono mai realizzate. Dov'è finita la nostra felicità?

La Sardegna è il laboratorio perfetto di analisi. Dopo sessant'anni di rinascita, di pseudo-autonomia, di alleanze ideologiche-affaristiche, di parate d'improbabili statisti, visionari e professori (che continuano ancora oggi a darci lezioni), dove siamo arrivati? A un Territorio Arretrato, come certificato dall'UE, terzultimo tra le regioni europee più disastrate in termini di economia e formazione, allo spopolamento mortale, alla fuga non solo dei giovani ma dei medici e dei professionisti, all'analfabetismo di ritorno, all'isolamento più subdolo (un'ipocrita continuità territoriale ci illude), ai fantasmi delle zone interne cui hanno tolto infrastrutture, servizi, voce e speranza, alla depressione diffusa. Un patrimonio unico al mondo è stato negato, svilito e dilapidato.

Esiste invece un'altra strada percorribile: ridisegnare con i giovani il ventaglio di futuri a disposizione, realizzarli uno a uno con senso artigianale, col nostro gusto storico del bello, con l'afflato alla felicità e non alla finanza, ricreando una Sardegna comunitaria, fattiva, solidale. Ripuliamoci e lavoriamo con serietà: abbiamo esempi virtuosi, torniamo a essere splendidamente sardi.

Ciriaco Offeddu

(Manager e scrittore)
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