Tra il 1914 e il 1916, approfittando della distrazione della diplomazia internazionale per lo scoppio della Prima guerra mondiale, l'Impero ottomano compì una delle maggiori atrocità del Novecento. Si tratta del genocidio degli armeni.

L'etnia armena, di religione cristiana, apparteneva all'Impero ottomano dal XV secolo e aveva sempre goduto di una situazione di tolleranza. Tuttavia, dal XIX secolo il governo imperiale operò per imporre la supremazia dell'etnia turca e della religione musulmana nell'impero e, soprattutto, in Anatolia dove risiedevano gli armeni. Le prime persecuzioni degli armeni avvennero alla fine del XIX secolo; successivamente nel 1909 il governo dei Giovani Turchi – un movimento fortemente nazionalista – scatenò una seconda ondata di violenze contro questo popolo: la Cilicia e l'Armenia furono teatro di massacri e arresti di massa ad opera dell'esercito. Nei due eccidi si contarono circa 300.000 vittime su una popolazione di 2 milioni di armeni.

L'occasione per regolare definitivamente i conti con gli armeni venne data alle autorità ottomane dalle sconfitte subite dalle armate turche nelle fasi iniziali della Prima guerra mondiale, nell'inverno tra il 1914 e il 1915. Gli armeni divennero il capro espiatorio della disfatta militare, perché accusati di simpatizzare con il nemico russo, con il quale veniva condivisa la comune fede cristiana. La classe dirigente armena fu eliminata immediatamente mentre il resto della popolazione venne condotto verso le regioni centrali dell'Anatolia o i deserti della Siria: durante il trasferimento iniziarono i massacri, gli armeni furono sterminati o abbandonati alla morte per fame. La persecuzione provocò la morte di quasi 1.500.000 persone, in gran parte donne, vecchi e bambini.

Per decenni dello sterminio degli armeni si è parlato poco e ancora oggi la Turchia nega che sia mai avvenuto. Soprattutto il governo turco, ma anche la stragrande maggioranza degli studiosi turchi tende a delegittimare le tante testimonianze e prove che oramai esistono sullo sterminio.

Ad aggiungere un mattone importante al consolidamento della verità storica arriva ora il volume Killing Orders (Guerini e Associati, 2020, pp. 388) che presenta per la prima volta in italiano, ma soprattutto mette al vaglio della critica più accurata i telegrammi di Talat Pasha, il Ministro degli interni considerato l'architetto del genocidio degli armeni.

Taner Akçam (foto @ClarkUnivesity)
Taner Akçam (foto @ClarkUnivesity)
Taner Akçam (foto @ClarkUnivesity)

Autore del volume è Taner Akçam, un coraggioso intellettuale e storico turco, che da anni vive esule negli Stati Uniti a causa delle minacce ricevute dal governo di Ankara. Akçam ha lavorato su preziosi ed eloquenti documenti originali inediti, restituendo con precisione al lettore, passo dopo passo, istruzione dopo istruzione, le varie fasi di preparazione, innesco e divampare dello sterminio. In questo modo ha messo con le spalle al muro i molti tentativi di negare o ridimensionare i crimini di cui si sono rese responsabili le autorità ottomane un secolo fa.

A confermarcelo è la scrittrice di origine armena Antonia Arslan, che ha curato l'edizione italiana del libro:

"Killing Orders ci mostra la cosiddetta ‘pistola fumante’ del genocidio perpetrato contro gli armeni, come mi ha detto proprio Taner Akçam un paio di anni fa, quando il volume uscì negli Stati Uniti. Nel libro non troviamo testimonianze di sopravvissuti o di testimoni, ma i documenti ufficiali di come venne pianificato il primo genocidio del Novecento".

Perché questi documenti sono tanto importanti?

"Proprio perché sono documenti ufficiali. Per molto tempo questi telegrammi sono stati messi in discussione da storici appoggiati dal governo turco e sono stati a lungo accantonati. Taner Akçam li ha potuti recuperare, studiare in maniera attenta grazie alla conoscenza della lingua ottomana antica e fare delle analisi critiche approfondite. Ha controllato il tipo di carta usato, i codici cifrati in uso al tempo… insomma non ha lasciato nulla al caso".

La copertina del libro
La copertina del libro
La copertina del libro

Il libro è uscito due anni fa in inglese. Quali reazioni ha provocato da parte del governo turco?

"Le reazioni abituali. Le autorità turche in questi casi comprano le copie dei libri considerati ‘pericolosi’ per farle sparire dalla circolazione e far passare tutto sotto silenzio. Fanno, inoltre, pressioni perché non si parli degli studi sul genocidio come quello di Taner Akçam e a volte riescono nel loro intento. Akçam, però, conosce i metodi del governo di Ankara e non si fa intimorire più che tanto. È stato in carcere in Turchia per i suoi scritti, ha vinto una causa internazionale perché le autorità turche facevano pressioni sulle università americane perché non gli rinnovassero i contratti o non lo chiamassero a insegnare. Ora ha una cattedra alla Clark University nel Massachusetts solo grazie all’appoggio ricevuto dalla comunità armena statunitense".

La posizione delle autorità turche è sempre negazionista in merito al genocidio degli armeni?

"Assolutamente… e le cose sono peggiorate negli ultimi tempi. C'erano state delle aperture sulla questione armena anni fa, anche sull'onda dell'emozione per l'assassinio del giornalista turco-armeno Hrant Dink, ucciso nel 2007. Dink era una persona straordinaria, voleva arrivare a una riconciliazione tra turchi e armeni e per questo era stato minacciato più volte. Però non arretrava fino a che non lo hanno ucciso con un colpo alla nuca, di fronte agli uffici del suo giornale. Al suo funerale erano presenti migliaia di turchi con cartelli con la scritta 'Siamo tutti Hrant Dink'. Sono cose che però lasciano il tempo che trovano. Con Erdogan al potere il genocidio è tornato a essere un tabù. Chi ne parla perde il lavoro oppure finisce direttamente in carcere".
© Riproduzione riservata