Sarebbe voluta essere Omero per raccontare l'epopea dello sbarco sulla Luna. Come per quelle di Ulisse, le gesta dei tre astronauti meritavano un grande narratore. Lo trovarono in una donna toscana volata in America per consegnare agli italiani il sogno di un uomo non più prigioniero del proprio pianeta. Sulle pagine dell'Europeo Oriana Fallaci riportò la cronaca di un'impresa senza eguali: alle 4.57 del 21 luglio 1969 iniziò la "scalata ai corpi celesti".

Quest'anno la data - celebrata ampiamente nel 2019 in occasione del cinquantenario - forse passerà inosservata per i più distratti. Eppure rileggere attraverso quelle pagine la storia di Armstrong, Aldrin e Collins è un'esperienza preziosa. Sempre. L'emozione di quelle giornate d'estate trascorse a Houston e nella base di Cape Kennedy emerge da un'opera diventata ormai un classico "Quel giorno sulla Luna", pubblicato da Rizzoli. "E così siamo giunti al pomeriggio fatale, quello in cui due uomini del nostro pianeta avrebbero tentato di sbarcare sulla Luna. Erano due uomini che nessuno aveva scelto perché migliori degli altri e il loro unico merito consisteva nell'essere bravi piloti, ma non migliori di altri. Umanamente non valevano granché. Privi di fantasia e di umiltà, prima della partenza si erano mostrati arroganti, durante il volo non si erano resi simpatici: mai una frase dettata dal cuore, un motto scherzoso, un'osservazione geniale. Avevano visto la Terra che si allontanava centinaia di migliaia di miglia e tal privilegio s'era risolto in un'arida lezione di geografia: Vedo a destra la penisola dello Yucatán, a sinistra la Florida…". Scrive la cronista che offre ai lettori una prosa memorabile. E' il 1969 Oriana Fallaci è già una giornalista di fama mondiale, a 40 anni ha già ottenuto il successo internazionale con "Il sesso inutile", reportage sulla condizione femminile, e con il suo primo romanzo "Penelope alla guerra", storia di Giò, un'italiana a New York. Ma, soprattutto, è già stata nelle trincee del Vietnam, inviata di guerra, per riferire - sempre sulle pagine dell'Europeo - delle atroci battaglie al centro di un conflitto che lei definì una "sanguinosa follia". E ora eccola al cospetto di quel razzo che portando tre uomini sul corpo celeste avrebbe cambiato per sempre la storia dell'umanità. Il lancio era atteso da tempo eppure quando venne il momento si manifestò come un'epifania. "Poi, d'un tratto, scoppiarono le tre del pomeriggio. D'un tratto, come questo viaggio che avevamo atteso per anni e a cui, tuttavia, non eravamo ancora preparati. (…). Non successe nulla di straordinario che ci desse l'allarme, non suonò un campanello, non gracchiò un altoparlante per dirci che erano le tre, forse non guardammo nemmeno l'orologio. Ma all'improvviso ci accorgemmo che l'ora era giunta e tutto cambia. Non ci importò più che la Luna rappresentasse un volgare scopo politico, non ci importò più che i due uomini scelti dal caso fossero antipatici. La Luna divenne qualcosa di religioso e i due uomini divennero qualcosa di santo: un simbolo di tutti noi, vivi o morti, buoni e cattivi, stupidi e intelligenti, noi pesci che cerchiamo sempre altre spiagge senza sapere perché".

La missione dell'Apollo 11 è iniziata e tutto il mondo tiene il fiato sospeso per sapere come andrà. A terra ci sono le mogli dei tre astronauti, alla centrale della Nasa i cervelli elettronici ricevono segnali dal modulo lunare che ormai viaggia intorno all'orbita terrestre. Poi in un vortice di parole arriverà il miracolo: Mike Collins resterà in orbita per controllare il modulo di comando Columbia mentre Neil Armstrong e Buzz Aldrin poseranno per la prima volta i piedi sul suolo lunare, lasciando a Oriana Fallaci il compito di raccontare la loro impresa. Ma è ai lettori che la scrittrice scomparsa nel 2016 consegnerà una domanda. "E fu tutto. Semplicemente. Così. Sarà altrettanto semplice, d'ora innanzi, il nostro destino?". Chissà quale risposta avrebbe dato a se stessa 51 anni dopo.

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