I media italiani, carta stampata e televisione, hanno dato ampio risalto ad una notizia che ha destato sorpresa ed imbarazzo (ma forse anche invidia) agli addetti ai lavori del settore.

All'estremità dell'Unione Europea, in Finlandia, Paese con meno di sei milioni di abitanti, è stata nominata primo ministro una giovane 34enne, Sanna Marin, provocando un misto fra soddisfazione e impossibilità che tale esempio possa in qualche modo incidere o modificare la nostra anchilosata tradizione maschilista. A questo si aggiunga che i cinque partiti formanti la coalizione governativa abbiano come premier una donna.

Non una regola generalizzata, ma nemmeno un'eccezione: potremmo definirla una normalità. In tempi recenti ha rivestito la carica di primo ministro Mari Kiviniemi, e di Presidente della Repubblica per due mandati consecutivi Tarja Halonen.

A questo si aggiunga un ulteriore dato riguardante la Scandinavia: anche i primi ministri di Danimarca e Norvegia appartengono al gentil sesso.

Il ruolo della donna nella società. Un abisso fra tradizioni nostrane e scandinave. Si volesse tentare una comparazione oggettiva scevra da opportunismi di qualsivoglia natura, sarebbe necessario per l'individuo conoscere usi e costumi delle due rispettive aree, e questo può avvenire unicamente aver risieduto a lungo in realtà di così differente mentalità. Chiedersi perché in Finlandia non vedi macchine parcheggiate in doppia fila, i guidatori bloccano la macchina a dieci metri dalle strisce pedonali, la nettezza urbana funziona a meraviglia, in ogni locale ognuno non prevarica chi gli sta davanti.

Siamo buoni giudici noi italiani? No. L'anagrafe permette allo scrivente di rammentare un difetto che accomuna la maggioranza degli abitanti del Belpaese. Appena superate le Alpi, si tende a criticare a priori ogni aspetto dello Stato che si attraversa. La mancanza degli spaghetti al dente amplia un disagio interiore, il confronto con lo Stivale natio è impietoso, a tutto vantaggio di quest'ultimo. Ritornati in patria, metamorfosi totale: gli avversari diventano come d'incanto tutti i connazionali avversi alla propria ideologia politica.

I conoscitori delle due mentalità lo sanno: perché qui al nord nei piani alti delle direzioni dei giornali è normalissima la presenza delle donne, in confronto alla penuria quasi totale in Italia? È solo l'inadeguatezza o peggio ancora la scarsa fiducia verso il gentil sesso ad offrire una valida spiegazione? Oppure vige ancora quel sottile e non manifesto intendimento che vuole l'altra metà del cielo relegata al vecchio detto "la donna, la casa, il bambino"?

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Lo scrivente, adesso, in virtù di conoscenze pregresse, tenterà di individuare uno dei motivi fondanti la differenziazione del ruolo femminile nelle due grandi zone prese in esame. Ci si inoltrerà in un campo di importanza vitale: la strettissima relazione fra la Storia del Cinema dalle origini del 1895 e la Storia Contemporanea, studiata nelle scuole, del suindicato periodo.

Entrambe sono affratellate, strette in una relazione costante, si direbbe una dipendente dall'altra. La Storia del cinema è andata a braccetto con quella contemporanea. Addirittura, spesso il Cinema ha anticipato la Storia: alla fine degli anni Venti cineasti mitteleuropei paventavano nelle loro pellicole l'avvento di un "uomo forte" in Germania. Un campanello d'allarme: le democrazie mondiali non si accorsero di nulla.

Impossibile sarebbe seguire l'evolversi degli Stati Uniti senza analizzare le pellicole di David Griffith e Frank Borzage. Altrettanto difficoltoso comprendere per gli italiani l'assidua presenza delle donne scandinave ai vertici della società, ed alla centralità del ruolo femminile.

Si vogliono presentare alcuni fondamentali film che dimostrino la tesi da suffragare. Scelte limitate dallo spazio, ma di certo efficaci.

Cineasta svedese Victor Sjöström.

"Il carretto fantasma". Il regista, anche interprete, sconta in un aldilà celestiale i sensi di colpa verso le due donne (moglie e missionaria) protagoniste della sua non tardiva riappacificazione morale e spirituale.

"Il Vento" (The Wind). Lei è Lillian Gish, altalenante nel proprio carattere. Cede alle tentazioni della carne, viene tradita dal proprio discontinuo senso di appartenenza. Riemerge con una volontà d'animo che fuoriesce dal proprio inconscio ed entra nella leggenda. Alcune riprese ondulate, le pareti che sembrano muoversi come la sua insicurezza, sono entrate nella storia del cinema. La primitiva "paura" del vento diventa fonte di salvezza. Stupendo.

Cineasta finlandese Aki Kaurismaki. Assurto prepotentemente a fama mondiale, rappresenta il suo paese senza fronzoli e concessione alcuna. Un realismo di cui si era persa traccia.

"Nuvole in viaggio". Lei è Kati Outinen, l'attrice preferita dal regista. Col suo coraggio, evita di arrendersi di fronte alle sconfitte iniziali nel mondo del lavoro. Reagisce, scuote il marito rassegnato, non aspetta alcuna manna dal cielo, lotta, si mette in proprio, vince. La donna che diventa protagonista senza prendersela con la società.

"L'uomo senza passato". Ancora Kati Outinen nella sua interpretazione più premiata. Aiuto, protezione, solidarietà, stima e successivamente affetto verso l'uomo che ha perso la memoria. Film secco, tagliente ed essenziale come la betulla.

Cineasta svedese Ingmar Bergman. Ha decretato la superiorità della "donna" nel contesto scandinavo. Gli uomini spesso relegati ai margini, quasi volesse proporre una scala di valori. Tutti i suoi film meriterebbero la menzione: si è avvalso delle sue quattro muse Liv Ullmann, Bibi Andersson, Harriet Andersson e Ingrid Thulin.

"Il flauto magico". Incredibile ed insuperata trasposizione cinematografica dell'opera di Mozart. Interpreti, scenografie e descrizione dei caratteri individuali che hanno fatto epoca. Lei è Pamina e lui Tamino: sarà proprio la donna, con l'abnegazione, un femminismo ante litteram e la volontà dello spirito, a decretare la vittoria finale di entrambi.

"Sussurri e grida". Il suo film più conosciuto a livello mondiale. Mai nessuno era entrato così a fondo nelle inesplorate intimità femminili, nel profondo del loro animo, nel precipizio dei sensi di colpa, a contatto con una delle tre sorelle morente fra i lamenti. Cinema che supera la perfezione.

Cineasta danese Carl Theodor Dreyer. Padre putativo di Ingmar Bergman, come quest'ultimo non esitò a riconoscere. Alfiere primo del concetto di "donna" che diventa il centro propulsivo di una comunità, pur nel contesto di una schiacciante superiorità numerica di uomini. Difficile la selezione.

"La passione di Giovanna d'Arco". Dreyer, con in mano i registri del processo a Rouen, estrapola una pellicola sulla pulzella d'Orleans che a tutt'oggi offre sbalordimento ed ammirazione agli appassionati del vero cinema. I primi piani della sofferente e martoriata protagonista Renée Falconetti e dei suoi crudeli inquisitori sono impietosi. Prima di Dreyer, nulla ha avvicinato la cinepresa al dolore fisico e mentale. La Falconetti subì una scossa profonda per la sua memorabile partecipazione.

"Ordet - La parola". Quando a Dreyer fu assegnato per questo film il Leone d'oro al Festival del cinema di Venezia, il pubblico reagì con un applauso ininterrotto e appassionato, segno della devozione verso il Maestro danese. Cosa rappresenta "Ordet"? La vittoria della Fede, quella autentica, che non si manifesta di certo di fronte alle statue di gesso.

Per Ordet la Fede e i miracoli avvengono solo tramite il rivolgersi direttamente a Dio. La protagonista è Inger: la sua resurrezione, in fondo, per i credenti, è la conseguenza diretta della parola del Creatore. Non per niente Inger, al risveglio, dice ad alta voce "la vita, la vita". Epico e commovente senza pari.

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Se la Scuola, sede cardine dell'iniziazione alla vita di gruppo, deve assumersi la responsabilità di far pervenire agli studenti gli strumenti necessari per la sua realizzazione, potrebbe essere una buona idea, a parere dello scrivente, che i dirigenti scolastici, tramite i docenti preposti, proiettassero qualcuna di queste pellicole negli Istituti medi superiori.

Mario Sconamila

(docente in pensione)
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