Sono trascorsi sessant'anni dal 21 giugno 1959, giorno in cui le spoglie di Grazia Deledda, che fino ad allora trovarono sepoltura nel cimitero del Verano a Roma, furono trasferite a Nuoro, alla Chiesa della Solitudine. In concomitanza con l'anniversario di quella traslazione, che sancì il rientro della scrittrice nella città natale, un'altra distanza è stata annullata. Quella che l'aveva confinata ai margini della memoria storica di un Paese troppo spesso smemorato. Ma ora, grazie alla Biblioteca nazionale centrale di Roma, la sua eredità intellettuale è diventata parte integrante del patrimonio culturale pubblico.

TESORO RIEMERSO - Cinquantacinque manoscritti autografi (in un arco di tempo che va dal 1890 fino alla sua morte), 431 lettere (tra le quali quella stilata a Stoccolma l'11 dicembre 1927 e indirizzata alle sorelle, in cui descrive la commozione provata nel ricevere il premio Nobel per la letteratura), 128 cartoline (molte spedite al marito Palmiro Madesani) e decine di fotografie (che la ritraggono o a lei dedicate come quella inoltratale da Benito Mussolini). La mole cartacea in cui si dipana il fondo, acquisito per 200mila euro dall'istituzione nata il 14 marzo 1876 e diretta da Andrea De Pasquale, è divenuta ora proprietà dello Stato italiano. Rappresenta la principale raccolta di fonti incentrata sulla narratrice sarda più famosa al mondo. L'unica scrittrice italiana a essere stata insignita della prestigiosa onorificenza internazionale, ricevuta dopo il poeta Giosuè Carducci e prima di Luigi Pirandello che ebbe a lamentarsene.

I DISCENDENTI - Il corpus, intercettato appena si è avuta notizia che la case d'aste Finarte stava per metterlo all'incanto, era nella disponibilità dei discendenti della scrittrice: due pronipoti e una loro zia. Per loro, separarsi dalle carte la cui cifra didascalica sarà scandagliata da cattedratici e studiosi, non è stato facile. "La collezione - racconta Edoardo Alberto Madesani Deledda, uno dei due bisnipoti - aveva una rilevanza notevole in termini affettivi". Il desiderio di destinare il lascito alla collettività, per tramandare alle generazioni future l'estro di quella che per il critico Attilio Momigliano fu una poetessa del travaglio morale da paragonare a Dostoevskij, alla fine ha prevalso. "Il rammarico è solo uno: sarebbe stato preferibile - conclude Madesani Deledda - che si fosse fatto avanti qualche ente della terra in cui era nata mia bisnonna. Così la Sardegna avrebbe suggellato il suo perenne connubio con la figlia più amata".

LA RICERCA - Non è la prima volta che la Biblioteca nazionale centrale di Roma acquisisce "tesori" appartenuti a scrittori e intellettuali che hanno dato lustro al Paese. Basti ricordare gli archivi di Giuseppe Ungaretti, Benedetto Croce ed Elsa Morante. Per non parlare della miscellanea di carte autentiche di vari poeti: tra i tanti, vale la pena di ricordare Gabriele D'Annunzio e Pier Paolo Pasolini. La riabilitazione, documentalmente parlando, di Grazia Deledda, oltre che certificare l'aver posto rimedio a una manchevolezza, è il primo passo di un'indagine conoscitiva di più ampio respiro. L'obiettivo è arricchire l'area tematica dedicata all'autrice barbaricina, anche con i mobili e gli oggetti che fecero parte della sua quotidianità. Faranno da faro, naturalmente, i trentacinque romanzi e trecentocinquanta novelle che Grazia Deledda ci ha lasciato in eredità.

Claudio Serpico

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